«Ancora acqua» di Raffaele De Rosa.

Uno studente mi ha portato un menù, risalente a più di trent’anni fa, di un ristorante veneziano. Lo ha trovato tra le carte lasciate da suo padre, morto da poco tempo. È strano vedere di nuovo le indicazioni dei prezzi espresse in lire e scoprire che un piatto di capesante costava 3000 lire, cioè circa 1,5 euro.

Il padre dello studente era insegnante di tedesco e ha conservato questo menù per motivi didattici. Le pietanze, infatti, sono scritte in un tedesco molto creativo. Probabilmente il ristorante era uno di quelli dove vanno a finire i turisti sprovveduti che mangiano male e spendono molto. A Venezia, purtroppo, ce ne sono parecchi.

Mi interessano molto questi documenti. Non li giudico per gli errori nei testi, ma cerco di capire perché esistono certe devianze lessicali o grammaticali. I linguisti hanno spesso vedute più ampie rispetto a quelle degli insegnanti di lingua. Come cliente, invece, sono convinto che i menù debbano essere scritti per essere compresi da tutti, in qualsiasi lingua.

Qualcuno potrebbe obiettare che chi si occupa di ristorazione non è tenuto a conoscere le lingue straniere. Certo! Ma un menù è anche il biglietto da visita del ristorante. Che bisogno c’è di fare brutta figura con traduzioni improvvisate?

La lettura del menù ci ha fatto molto ridere e, dopo diverse analisi, rimangono dubbi sulle seguenti pietanze: Weibmuscheln, Wanstsuppe, Gnocchi mit Bava, Reis allein auf Verordnung, Essen mit Priester, Reis Chu Ming, Master-Master, Fläche vom Fische, Souverän der Brathun Vergold, Ravioli King. In tedesco non significano nulla di sensato.

Trent’anni fa non c’erano programmi traduzione automatica. Tutto era lasciato al caso o alla buona volontà di qualcuno che “conosceva” le lingue. Il problema è che certi menù si trovano anche oggi in tantissimi ristoranti. Pensate, per esempio, alle incongruenze esistenti nei ristoranti (pseudo)italiani all’estero! Secondo voi che cos’è un Giannti? E la pizza Quatro Stazioni?

Ecco, questo tipo di errori non sono più ammissibili, a mio modesto parere. Se un ristoratore decide di offrire determinate pietanze, allora non deve solo saperle cucinare, ma le deve presentare linguisticamente in modo ineccepibile. E questo vale anche per le pseudo-pizze alla tirolese o bavarese con vurstel, wunstel, wussel, speak, speek, speech, ecc. che si trovano in moltissime pizzerie italiane. I mezzi per scrivere correttamente certe cose oggi sono facili da usare. Basta fare un click sul computer.

Poi, però, anche l’uso di Google-Translator deve essere fatto in modo intelligente. Altrimenti si può incorrere in errori ridicoli come, per esempio, il burro per cucinare svizzeri (per Schweizer Kochbutter) o ancora acqua (per inglese still water “acqua minerale naturale” tradotto a sua volta in tedesco con noch Wasser). La differenza, in questi casi, la fa sempre la persona che deve decidere di accogliere o meno certe cose. Chi traduce seriamente da una lingua ad un’altra non si accontenta mai della prima definizione di un dizionario, ma va in profondità nel corpus lessicale e attinge anche dalla propria cultura personale. E questo dovrebbe valere anche per un menù di un ristorante. 

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