UN GIORNO DA CHRISTINE DE PIZAN, ALIAS NICOLETTA BORTOLOTTI (recensione di «Un giorno e una donna» di Nicoletta Bortolotti, a cura di Vittorio Panicara: 1/2).

Cristina di Pizan, British Library,
Immagine in pubblico dominio

Christine de Pizan…
La prima donna scrittrice di professione in Europa, Christine de Pizan (in realtà la veneziana Cristina da Pizzano, 1365-1430 circa), fu anche la prima a lottare contro le discriminazioni di genere e la sottomissione delle donne, per rivendicarne la dignità di fronte ai potenti e al mondo della cultura (a quei tempi solo maschile: si veda qui la lezione di Alessandro Barbero in proposito).
Le opere di Christine furono celebri in Francia (dove trascorse quasi tutta la sua vita, a Parigi e alla fine nel convento di Poissy) e ben presto in tutta Europa, scuotendo alle fondamenta il Medioevo nel momento del suo tramonto. Ebbe il coraggio di sfidare i dottori della Sorbona partecipando al dibattito sul Roman De La Rose e criticando decisamente le loro prese di posizione sulla presunta superiorità maschile e il conseguente svilimento delle figure femminili.  Nel 1429 scrisse un poema in onore di Giovanna d’Arco, l’unica opera dedicata a lei quando la pulzella era ancora in vita. E se era stato difficile capire come una giovane contadina potesse convincere il re di Francia della sua capacità di condurre l’esercito alla vittoria, così in quel momento storico il mondo della cultura non riusciva a spiegarsi come Cristina, novella Giovanna d’Arco delle lettere europee, donna laica e borghese, fosse riuscita a fare della sua cultura un tale strumento di autoaffermazione (Maria Giuseppina Muzzarelli, enciclopedia delle donne.it).
Ma il nome di Christine de Pizan è legato alla sua opera più famosa, l’allegorica «Cité des Dames» («La città delle Dame», 1405, titolo che prende spunto dalla “Città di Dio” di Sant’Agostino), in cui le tre Virtù, Ragione, Rettitudine e Giustizia, si palesano a Christine per invitarla a edificare una città tutta al femminile. La presa di posizione sul rapporto tra le donne e la cultura non potrebbe essere più netta:

Se si usasse mandare le bambine a scuola e insegnare loro le scienze con metodologia come si fa con i bambini, imparerebbero e capirebbero le difficoltà e le sottigliezze di tutte le arti e le scienze così bene come i maschi (citato da Eva Luna Mascolino).

Il compito che le tre Dame affidano alla protagonista è di salvare tutte le donne dagli inganni e dalle imposture degli uomini, portando come esempi le protagoniste femminili della storia e della mitologia, esempi che dimostrano l’esistenza non dell’inferiorità femminile, ma piuttosto dell’oppressione maschile. Scrive Patrizia Caraffi (qui) a proposito dell’importanza delle lettere:

l’Autrice ritrova nella scrittura il vero atto fondatore di quel nuovo regno delle Donne immaginato nella Cité des Dames, di quella Città che è vista soprattutto come luogo di difesa dalla violenza fisica e verbale.

Il discorso femminista avanti lettera di Christine si esprime appieno nella sua opera in versi e in prosa, che purtroppo non è stata mai abbastanza valorizzata nelle storie letterarie, un’opera che non solo è attuale, ma merita di essere riletta senza alcun adattamento. Questa rilettura odierna avrebbe come scopo un riscatto che ai nostri giorni non è ancora realtà piena, il riscatto femminile in ambito culturale e letterario. L’obiettivo sarebbe allora quello di rilanciare Christine de Pizan tra i lettori di oggi con l’esempio delle sue opere e della sua vita. Obiettivo non facile da cogliere per una scrittrice vivente che trovi la stessa motivazione di Christine per lottare e scrivere per sé e per tutte le donne, ma in un contesto mutato, rievocando Christine De Pizan sì in modo oggettivo, seppur con il rischio di scadere in uno sterile biografismo apologetico. Inoltre, la vita di Christine de Pizan s’intreccia con le complesse vicende storiche della guerra dei cent’anni e un romanzo dedicato a lei non potrebbe che essere un romanzo storico. Come evitare allora che la fedeltà ai fatti storici, necessaria per la credibilità del personaggio storico De Pizan, attenui l’interesse per la donna Christine e soprattutto per la sua produzione in versi e in prosa? E quale posto riservare alle opere della scrittrice nel testo, in traduzione, evitando la freddezza di un’antologia? Ultimo dilemma: chi scrive un romanzo non può non lasciare a sé stesso la facoltà di inventare, di creare con la sua fantasia eventi, personaggi, dialoghi mai avvenuti nella realtà. Dunque, come conciliare tra loro e condensare in un testo coeso e omogeneo la cronaca quotidiana di una donna, con i suoi sentimenti e la sua sensibilità, la sua opera letteraria originale, la sua biografia e la cornice storica indispensabile per comprenderla?

… e Nicoletta Bortolotti: «Un giorno e una donna»
Ha risolto il problema Nicoletta Bortolotti, scrivendo «Un giorno e una donna» (HarperCollins Italia, 2022), opera candidata da Maria Rosa Cutrufelli per il Premio Strega 2023.
L’autrice ha già pubblicato molti libri per adulti e ragazzi e lavora come redattrice e ghostwriter per Mondadori. Nelle sue opere si è occupata di temi sociali, storici e intimistico-psicologici. Per il pubblico adulto sono da ricordare «Chiamami sottovoce» (Milano, HarperCollins Italia, 2018; premio Alvaro Bigiaretti e premio Giuditta), «E qualcosa rimane» (Milano, Sperling & Kupfer, 2012), «Neomamme allo stato brado» (Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2005). Da un suo libro è stato tratto il film «I bambini di Gaza – Sulle onde della libertà». Qui si può ascoltare la voce dell’autrice, che spiega la sua idea di scrittura letteraria.
La creatività di Nicoletta Bortolotti è ben nota ai tanti che la leggono, e, per quanto riguarda la biografia di Christine de Pizan, la scrittrice ha risolto il problema di cui si è detto in modo brillante, immaginando e inventando un epistolario tra Christine e la figlia primogenita Marie, rinchiusa nel convento di Poissy. Da queste lettere, vivissime e piene di umanità, affiora l’intreccio tra la vita della donna e i libri che con coraggio scrive e propone a un pubblico sempre più ampio e ammirato, senza dimenticare che la sua biografia si inserisce in un quadro storico ben preciso, quello della guerra dei cent’anni. Inoltre, le lettere sono intercalate da riflessioni in terza persona che commentano e approfondiscono i temi affrontati. In altre parole, allo scambio epistolare io-tu fra madre e figlia si afferma uno spazio testuale riservato a questo io “esterno” al dialogo, un narratore onnisciente che analizza a livello metanarrativo i comportamenti di Christine. A questo io attengono altre due finalità: riportare i testi della Christine storica, ritradotti da Nicoletta Bortolotti (del resto, come nelle lettere); spiegare le scelte di Christine; esplicitare e sviluppare i giudizi di valore e le tesi autoriali. A tutto ciò si aggiunga che Christine, scrivendo alla figlia, rievoca e chiarisce le alterne vicende della famiglia, con una frequente narrazione collocata su di un secondo asse temporale, che, se da una parte ci fa conoscere la vita della madre (una cronaca un po’ romanzata), dall’altra illustra, valorizzandolo, lo sfondo storico della vita di corte, che Christine effettivamente frequentò. In questo caso la fedeltà storica è sicura, tanto è vero che Nicoletta Bortolotti alla fine del volume elenca le tante fonti storiche consultate.
Quanto a struttura narrativa, l’epistolario è suddiviso in sei parti scandite dalle scelte di Dama Fortuna:
– REGNABO (ruota verso l’alto di un quarto)
– REGNO (ruota verso l’alto di due quarti)
– REGNAVI (ruota verso il basso di un quarto)
– REGNAVISTI (ruota verso il basso di due quarti)
– REGNABO (ruota verso l’alto di un quarto)
– REGNO (ruota verso l’alto di due quarti)
L’indicazione delle rotazioni della Fortuna non solo prepara con l’allegoria e con gusto medievale il lettore ad aspettarsi l’alternanza della cattiva e della buona sorte, ma lo fa riflettere su quanto poco possano gli uomini nei confronti dell’ineluttabilità delle vicende storiche. Tutto il libro, tuttavia, esalta al tempo stesso la capacità della protagonista di far fronte con coraggio e acume alle avversità della vita, confermando quanto contino nella vita resilienza e convinzioni radicate. E quanto cultura e letteratura possano influenzare gli avvenimenti. L’intero romanzo a livello ideale presuppone la complementarità di questi due fattori, tra di loro in apparente contrasto: da una parte il mondo della violenza e del potere, che sta sconvolgendo la Francia, dall’altra una donna mossa dall’amore, che riesce con la cultura e il suo ingegno a salvare sé stessa e i suoi cari. La ripartizione in sei parti esprime le vicende di Christine, fortunate nel primo terzo dello spazio testuale, in disgrazia crescente nel secondo terzo della narrazione, di nuovo fortunate nella terza e ultima parte. Tutto ciò, naturalmente, ruota intorno ai temi più importanti del romanzo. Vediamone alcuni.

I temi e l’intreccio: i ricordi, i libri.
Sintesi di romanzo epistolare e romanzo storico, il testo, come detto, si incardina saldamente su due piani temporali: da una parte la rievocazione di un passato remoto, con le lettere della madre alla figlia, dall’altra le osservazioni relative al presente e al passato più vicino. Christine dedica alla figlia Marie il racconto della storia della famiglia sulla scorta dei suoi ricordi, vicini e lontani. La visita al convento di Poissy, per esempio, ci porta non solo la commozione della madre che abbraccia la figlia divenuta suora, ma anche il riverbero cruento dei fatti di guerra (la sconfitta francese di Azincourt) e l’amara riflessione della donna (s’impara a essere orfani dei genitori, ma non dei figli). L’abbraccio alla figlia in convento è un ricordo felice a cui la scrittrice ha dedicato una poesia riportata in coda a una delle prime lettere (Parigi, 25 febbraio 1418):

[…]  Quindi colei che amo molto e tengo cara
venne verso di me con umile maniera
si inginocchiò e io le baciai la testa
dolcetta e tenera.

Ma affidarsi alla memoria è per Christine soprattutto una necessità, e non sempre piacevole; i trasferimenti da Venezia a Bologna e poi da Bologna a Parigi li rammenta grazie al pauroso buio delle notti che si è impresso nella mente di lei bambina (la ricordanza è una vecchiaccia schiumosa e brutta che sciabatta nelle case sfitte). I ricordi, in realtà, servono a Christine per informare la figlia di tanti fatti che lei non può conoscere bene e completamente, come ad esempio l’incarico di astrologo e medico del re di Francia del padre Tommaso da Pizzano, suo nonno, e altri ricordi positivi, come il felice matrimonio, benché combinato dal padre, con Etienne Castel, notaio di corte.  Ci sono anche eventi negativi, quando la ruota della Fortuna gira in senso inverso di due quarti, con la morte del re e la conseguente rovina finanziaria della famiglia, e in particolar modo quando a morire saranno il padre e poi Etienne. In quel momento Christine è una vedova sola con tre figli, alle prese con l’ostilità e l’irriconoscenza delle persone e delle istituzioni. Si tratta in tutti questi casi di eventi realmente accaduti, e la narrazione, che ha come destinataria la figlia Marie, è calibrata per lei, ma contemporaneamente è rivolta anche a noi lettori. Se ne ricorda sicuramente l’autrice, quando fa dire all’io narrante Christine che i momenti della nostra vita sono ricordi che ci ha ricordato qualcuno. Il compito di chi vuole ricordare è infatti quello di ricordarci di chiedere a qualcuno. Dunque la narrazione dei fatti, ricordati da altri, può benissimo sostituire i ricordi veri e propri, che in sé e per sé non sono attendibili. E le opere letterarie? Svincolate dall’impegno della memoria, sono in qualche modo la scrittura della verità e al tempo stesso la rivelazione della verità della scrittura. Non saper o poter scrivere, come accaduto a Caterina da Siena, può essere una condizione di svantaggio.
La vera preoccupazione di Christine, inoltre, è che i suoi libri possano non sopravviverle; vorrebbe raccomandare alla figlia di conservare i suoi scritti, ma non ne ha il coraggio (è l’altro io, quello che commenta le lettere, a farcelo sapere). Il punto è che i libri per Christine sono sì fonte di gloria e di guadagno, dato che con il suo scriptorium (un laboratorio di scrittura completo, dotato di collaboratori fidati) può stamparli da sé e superare così le sue difficoltà finanziarie, ma costituiscono soprattutto uno strumento di lotta ai pregiudizi antifemminili e alla società patriarcale, che proibisce alle donne l’accesso agli studi avanzati, alle lettere e alla cultura. Christine condanna con forza la pratica dello stupro, che alle donne non dà piacere, come pretendono alcuni, ma un’orrenda sofferenza, un oltraggio insopportabile. Vorrebbe scrivere a Marie, e non lo fa, che violazione e stupro (una sua giovane amica è stata inchiodata di notte e ha dovuto farsi suora) sono costituiti dall’invisibile oblio della mente, non solo dal danno del corpo. La scrittura è infatti testimonianza di verità e va conservata, svelando le ingiustizie e le violenze come gli stupri. E forse, come diceva Tommaso, suo padre, è la vita a imitare le lettere, non viceversa. Se lei ha potuto studiare e accrescere la sua cultura, lo deve a lui, che l’ha sempre incoraggiata, contrariamente alla madre, che riteneva contronatura lo studio per le ragazze. Christine nelle sue pagine sbatte in faccia ai lettori franchezza, rabbia e dolore, dando voce a quello che sta accadendo alle donne. Cavalleria e amor cortese sono scomparsi, ovunque prevalgono la prevaricazione, l’uso della forza e la guerra. Così scrive in una poesia:

Così si lamentano le dame di cui ho parlato
dei grandi torti, biasimi e diffamazioni,
dei tradimenti, dei pesanti oltraggi,
delle falsità e di molti altri danni
che ogni giorno dai disonesti ricevono
che le biasimano, diffamano e deludono.

Christine ha scoperto che la letteratura può e deve lottare per grandi ideali, la dignità delle donne, la ragione, la virtù e la giustizia, e soprattutto per la pace; ma la vita intorno a lei la induce a porsi con forza il problema dell’efficacia delle opere letterarie. La perplessità della scrittrice nei confronti di libri amati come «Il Milione» e il «Decameron» riguardo alla loro utilità pratica, porta la donna a immaginarli come luoghi, non opere, luoghi distanti, e parti di una catena narrativa in cui noi affermiamo principalmente noi stessi: Siamo scrittura che appena graffia la terra. Christine, infatti, nella parte finale della sua vita si interroga sull’utilità delle sue stesse opere, sui dubbi effetti pratici che hanno avuto:

L’unica cosa a cui servono davvero i libri è distrarci dal dolore, dal tedio o dal nulla. Intrattenere e far dimenticare. […] A nulla sono valsi i miei sciocchi libri, e forse a nulla valgono i libri, figlia cara, […] Chi ascolta ormai Dama Prudenza suggerire ai principi di salvaguardare la pace?

Ma Christine non avrebbe mai potuto rinunciare a scrivere. I libri sono stati per lei non solo un mezzo di sostentamento (cosa non avvenuta ai grandi autori come Dante e Boccaccio), ma anche qualcosa di suo. Per lei sono veri e propri figli, partoriti dal suo ingegno, come fossero bambini usciti dal suo corpo. L’analogia è stretta, lei è la madre dei suoi libri, con un legame che ha qualcosa di corporeo. E i libri sono la fortificazione con cui proteggere la sua Città delle Dame, il baluardo della lotta a favore delle donne. Non solo, ma al tempo stesso i libri non possono certo tacere dei capricci della Fortuna. Con riferimento alla morte di re Carlo, la voce esterna al racconto così riflette sul male che può toccarci in sorte: A volte la luce di un libro, come quella di un figlio, è una storia intessuta di oscurità. La riflessione investe allora anche il tema della responsabilità divina. Già, perché Dio permette che si muoia soffrendo? Qual è il senso di tutto ciò?  L’esistenza, pensa Christine, a volte, simile a una vecchia zia bisbetica, sa come rendersi detestabile. E forse di Dio si può dire soltanto ciò che non è, come insegnava Dionigi l’Areopagita. Forse Santa Caterina con la sua pura fede ha capito Dio?

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE PER LA PARTE PRIMA

Caraffi, Patrizia, Christine de Pizan. Una città per sé, a cura di Patrizia Caraffi, Roma, Carocci 2003 («Biblioteca Medievale. Saggi/10»).

De Pizan, Christine, La città delle Dame, a cura di P. Caraffi, Roma, Carocci 2003

Muzzarelli, Maria Giuseppina, Un’italiana alla corte di Francia. Christine de Pizan intellettuale e donna, Bologna, Il Mulino 2007

La recensione prosegue nella seconda e ultima parte.

2 pensieri riguardo “UN GIORNO DA CHRISTINE DE PIZAN, ALIAS NICOLETTA BORTOLOTTI (recensione di «Un giorno e una donna» di Nicoletta Bortolotti, a cura di Vittorio Panicara: 1/2).”

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