UN CONSIGLIO DI LETTURA: DESTOUCHES (Louis Ferdinand Cèline) E «IL DOTTOR SEMMELWEIS» (recensione di Vittorio Panicara).

Un santo laico, un martire del progresso. Un eroe della scienza del XIX secolo: Ignazio Filippo Semmelweis. Scoprì l’antisepsi, cioè un metodo preventivo per evitare le infezioni che a quel tempo falcidiavano le puerpere. Arrivò a questa scoperta, allora sconvolgente, accorgendosi che queste donne morivano perché erano state visitate da medici che avevano appena finito di ispezionare cadaveri senza aver lavato le mani. Il mezzo per debellare la febbre puerperale era elementare, almeno per noi moderni: disinfettare accuratamente le mani con una soluzione di cloruro di calce. Ma l’opposizione del mondo accademico e dei dirigenti delle strutture sanitarie osteggiò i suoi rimedi e lo condusse alla completa rovina fisica e mentale. La lezione di Pasteur sarebbe venuta molto tempo dopo.
Louis-Ferdinand Destouches scrisse su di lui la tesi di Medicina a Parigi nel 1924; aveva trent’anni. Il testo è una sorta di agiografia esemplare di un uomo, uno scienziato geniale, che seguì la via del bene e trovò l’inferno in terra. L’autore sostiene un paradigma che ha il valore dell’assoluto: nella vita tutto si espia, soprattutto il bene fatto agli altri. Nato a Budapest nel 1818, il dottor Semmelweis esercitò a Vienna e Destouches riporta la sua vera storia a partire dalla gioventù, ma si sofferma naturalmente soprattutto sulla sua attività di medico e scienziato. Allievo di Skoda, Semmelweis si specializzò in anatomia patologica con Rokitansky, trovando nel punto di vista dei malati il focus della sua attività; il suo motto era Medicina e Sentimento. I problemi iniziarono quando venne nominato professore assistente di Klin, che era a capo di una clinica universitaria di maternità. L’autore spiega l’avversione di Klin verso il suo assistente confrontando la mediocrità di questo con la genialità di Semmelweis. Il pomo della discordia era la febbre delle puerpere, vista da tutti fino a quel momento come una fatalità inevitabile, ma capace di provocare il decesso del 25-30% delle madri. Alla sua scoperta Semmelweis arrivò a poco a poco, ma ben presto fu sicuro che la causa della morte delle puerpere andava ricercata all’interno dell’ospedale. Subito Klin e gli altri medici si mostrarono ostili e presto l’odio traboccò nel silenzio. Approfittando di uno sfogo nervoso di Semmelweis, Klin gli revocò l’incarico per indisciplina; era il 1846. Ripresa poco dopo l’attività clinica, Semmelweis trovò conferma della certezza della validità della sua scoperta: a infettare le pazienti erano le mani non lavate degli studenti di medicina. Ma la maggior parte dei suoi colleghi, non solo Klin, erano contrari, Semmelweis venne isolato e poi scacciato una seconda volta (1849). Dopo un’amara esperienza a Budapest, Semmelweis tornò a Vienna con un incarico minore e impiegò quattro anni a scrivere «L’eziologia della febbre puerperale», ma l’odio del mondo accademico verso di lui e i suoi rimedi era addirittura aumentato. Egli, amante della vita, è portatore di una verità miserabile, una pura creazione che avrebbe potuto salvare milioni di vite, ma nella Storia dei tempi la vita non è che un’ebbrezza, la Verità è la Morte.
E infatti la parabola discendente del dottor Semmelweis – tornato nella sua Budapest – si concluse  velocemente con la sua rovina mentale. Il mondo, osserva l’io narrante, condanna la fantasia, l’originalità e tutto ciò che non conviene al destino della nostra specie e alla tradizione. Lucidità e ragionevolezza vennero presto meno e resero Semmelweis un fantoccio preda di tutte le sue emozioni. Così come un corpo viene squartato, la personalità subisce dalla follia la ruota del suo supplizio. L’inferno degli uomini inizia quando si oltrepassano i confini della ragione, quando l’uomo è solo un animaletto stupido e disorientato che vaga nel dedalo della demenza. Semmelweis soffrì in quegli anni di allucinazioni che sfociarono nella violenza. Venne portato in un manicomio a Vienna nel 1865, dove si infettò in un gesto di pazzia e morì.
Quello di Louis-Ferdinand Destouches è un pamphlet accorato ed enfatico nei toni, ironico e tagliente, latore di una visione tragica del mondo, esposta crudelmente dal narratore onnisciente:

La bontà non è che una piccola corrente mistica in mezzo alle altre, e difficilmente si tollera che sia indiscreta. Contemplate invece la guerra in marcia, niente è troppo dorato, troppo chiassoso, troppo immodesto per lei.

Sì, l’uomo è fatto per la guerra, ma Bellezza e Musica, aggiunge il Narratore, sono solo in noi, e i grandi uomini sono coloro che sanno dare una forma al genio degli uomini. È da questa contraddizione che trae alimento la scrittura di Louis-Ferdinand Destouches.

Ma è tempo di aggiungere (e il lettore l’avrà capito) che l’autore di questo piccolo libro di circa cento pagine (pubblicato solo nel 1952, quindi 28 anni dopo la discussione della tesi), libro che rappresenta il suo incerto ingresso nel mondo delle lettere, è universalmente conosciuto con lo pseudonimo di Louis-Ferdinand Céline (1894-1961). Reduce dalla prima guerra mondiale e da una vita disordinata, divenne medico con questa tesi e dagli anni Trenta in poi si impose come scrittore al grande pubblico, anche se il suo collaborazionismo, il suo appoggio al nazismo e il suo antisemitismo ne fecero una figura fosca e molto discussa, quanto meno inquietante. Inutile addentrarsi nelle sabbie mobili del problema del rapporto tra la vita di uno scrittore e la sua opera, basti qui mettere in rilievo quanto questa pseudo-biografia del dottor Semmelweis ci introduca nell’inferno della vita intesa da Céline come pena e dolore. Quella dell’eroico medico, morto giovane in un manicomio, è più la testimonianza della prevalenza del male sul bene nel mondo che l’elogio del progresso scientifico. La lettura della tesi di laurea di Céline, che volle lasciarla così com’era al momento della pubblicazione, può essere propedeutica al modo di scrivere di un autore che sputa le parole in faccia al lettore senza alcun riguardo (ed è questa la sua forza). «Il dottor Semmelweis» non è certo un capolavoro, ma è la prova generale di una scrittura forte e impudica, volta a negare qualsiasi religione dell’umanità e ad aprire uno squarcio da cui sbirciare l’onnipotenza del Nulla.

In libreria:

Louis-Ferdinand Céline, Il dottor Semmelweis (con un saggio di Guido Ceronetti), Adelphi 1975

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