PROUST 100 ANNI DOPO: BREVI ESTRATTI DALLA «RECHERCHE» / 25: LA SCOMPARSA DI ALBERTINE E L’INDIFFERENZA (a cura di Vittorio Panicara).

«Albertine scomparsa» è divisa in quattro capitoli. Nel primo (di cui si è già detto) la notizia della morte di Albertine provoca un dolore profondo, superato solo a poco a poco dal Narratore. Gli ultimi tre (qui riassunti), oltre a raccontare il raggiungimento in tappe successive dell’indifferenza da parte del protagonista, annunciano importanti sviluppi nella trama generale dell’opera.
Nel salotto dei Guermantes il Nostro rivede una giovane donna, con cui ha scambiato uno sguardo d’intesa per strada: scopre che si tratta di Gilberte! La giovane non si chiama più Swann, ma è duchessa di Forcheville, in quanto la madre ha sposato il duca, suo antico spasimante e antico rivale del padre, che l’ha adottata. Il nome di Swann non viene più pronunciato nell’alta società. La frequentazione della ragazza porta a compimento l’opera dell’oblio nell’animo del protagonista anche da un altro versante: cresce in lui, infatti, la consapevolezza di aver dimenticato la stessa Albertine; la scomparsa dell’amore lo lascia diminuito (soffrivo di un amore che non esisteva più) e gli rivela un cambiamento nella stessa nozione del tempo:

L’oblio non manca a sua volta di alterare profondamente la nozione del tempo. Ci sono errori ottici nel tempo come ce ne sono nello spazio.

Nei nuovi spazi che gli riserva il futuro non ci sarà più posto per Albertine, così come le tracce delle passioni del passato sono dileguate sotto l’incalzare del tempo. La sua vita gli appare come una cosa

priva del supporto di un io individuale identico e permanente, altrettanto inutile nel futuro non meno che lunga nel passato, qualcosa cui la morte avrebbe potuto mettere termine in un punto o in un altro, senza minimamente concluderla…

Ma è soprattutto accorgersi di star bene con nuove persone vive, conosciute dai Guermantes, persone peraltro poco interessanti, a fargli sentire stanchezza e tristezza della vita. È come se nascesse un nuovo io:

Non è perché gli altri sono morti che il nostro affetto per loro si affievolisce, ma perché moriamo noi stessi

Nuove e terribili rivelazioni di Andrée, mesi dopo, lo mettono di fronte alle colpe di Albertine, che ha avuto una relazione amorosa con lei (contrariamente a quanto affermato nell’incontro precedente) e con Morel, che per di più le procurava delle ragazzine per i suoi divertimenti. Il Narratore si chiede perché ha creduto, a suo tempo, ad Albertine, visto che la menzogna è connaturata all’essere umano e svolge un ruolo altrettanto importante della ricerca del piacere, a cui è collegata.
Un’altra scoperta, grazie ad Andrée, chiarisce il motivo della fuga di Albertine: la possibilità, appoggiata dalla Bomtemps, di sposare un nipote di Madame Verdurin. Per lui, già una volta conosciuto dal Narratore, voleva recarsi dai Verdurin la volta in cui sarebbe venuta anche Mademoiselle Vinteuil, e non per altro. Tutto ciò accelera nel Nostro il cammino verso la completa indifferenza verso Albertine. Una sua riflessione sulla menzogna di Albertine e il concetto di verità chiude il secondo capitolo del libro («Mademoiselle de Forcheville»):

Ma perché credere che fosse stata lei a mentire, e non piuttosto Andrée? La verità e la vita sono ben ardue, e dell’una e dell’altra mi restava, senza che in fin dei conti le conoscessi, un’impressione in cui a dominare era forse, più ancora della tristezza, la stanchezza. Quanto alla terza volta in cui ricordo di aver avuto coscienza che nei confronti di Albertine mi stavo avvicinando all’indifferenza assoluta (e, quest’ultima volta, fino a sentire di averla ormai raggiunta) fu un giorno, parecchio tempo dopo l’ultima visita di Andrée, a Venezia.

Il terzo capitolo, «Soggiorno a Venezia», descrive e racconta il viaggio del Narratore e della madre nella città lagunare. Qui rivede per caso Madame Sezarat, la vecchia marchesa di Villeparisis e il suo compagno Norpois. Nelle calli e nei campi veneziani cerca e conosce nuove donne; si chiede quale rapporto ci sia tra questo desiderio e quello provato per Albertine, o per lo stesso viaggio a Venezia:

Chi, d’altronde, avrebbe potuto dirmi esattamente, in questa mia ricerca appassionata delle veneziane, quanto ci fosse di loro stesse, quanto di Albertine, quanto del mio vecchio desiderio d’un viaggio a Venezia? Ogni nostro desiderio, benché unico come un accordo, accoglie in sé le note fondamentali su cui è costruita tutta la nostra vita. E a volte, se ne sopprimessimo una che per altro non sentiamo, di cui non abbiamo coscienza, che non si ricollega in alcun modo all’oggetto cui miriamo, vedremmo comunque svanire tutto il nostro desiderio di quell’oggetto. C’erano molte cose che non cercavo di distinguere nell’emozione che provavo correndo alla ricerca delle veneziane.

Un telegramma (che poi risulterà falso) sembra annunciargli che Albertine è ancora viva. Ma questo pensiero non gli procura gioia. Ormai è disamorato di Albertine. Si susseguono le riflessioni:

Non sarei stato capace di risuscitare Albertine perché non lo ero di risuscitare me stesso, di risuscitare il mio io d’allora. […] Avevo definitivamente smesso d’amare Albertine. E così quell’amore, dopo essersi tanto discostato da quanto avevo previsto sulla base del mio amore per Gilberte, dopo avermi fatto fare una deviazione così lunga e così dolorosa, finiva, dopo aver costituito un’eccezione, per rientrare a sua volta, proprio come il mio amore per Gilberte, nella regola generale dell’oblio Ma allora pensai: tenevo ad Albertine più che a me stesso; adesso non tengo più a lei perché per un certo tempo ho smesso di vederla. Il mio desiderio che la morte non mi separi da me stesso, il mio desiderio di risuscitare dopo la morte, questo desiderio non era come quello di non essere mai separato da Albertine, durava sempre. Era perché mi credevo più prezioso di lei e, anche quando la amavo, amavo ancora di più me stesso? No, era perché, smettendo di vederla, avevo smesso d’amarla, mentre non avevo smesso di amarmi perché i miei legami quotidiani con me stesso non erano mai stati interrotti come, invece, con Albertine. Ma se anche quelli con il mio corpo, con me stesso, si fossero interrotti…? Sicuramente sarebbe accaduta la stessa cosa. Il nostro amore della vita non è che una vecchia relazione di cui non sappiamo liberarci. La sua forza sta nella sua permanenza. Ma la morte, interrompendola, ci guarirà dal desiderio dell’immortalità.

Si conclude Il soggiorno a Venezia. Durante il viaggio di ritorno in treno il Narratore e la madre leggono due lettere sorprendenti: Gilberte gli annuncia di sposare Robert de Saint-Loup; la madre viene a sapere che il giovane Cambremer, a sua volta, sposerà la nipote di Julien, a cui Charlus ha concesso il titolo di Mademoiselle de Oloron (ma la giovane morirà poche settimane dopo il matrimonio).
Gilberte si è trasferita a Tansonville e il Narratore riallaccia il vecchio rapporto con lei, venendo a sapere da lei dei tradimenti di Robert. Ma non si tratta di altre donne: i nuovi gusti di Saint-Loup le sono stati confermati casualmente da Jupien, che accenna a una relazione tra Morel e Robert (il titolo di questa quarta e ultima parte del libro è infatti «Nuovo aspetto di Robert de Saint-Loup»). Rimane il dubbio che si tratti veramente di una “conversione”; le tendenze omosessuali del giovane, infatti, stando alla testimonianza di Aimè, potrebbero essere remote. Il Narratore non sa chi mente e chi dice la verità.
Trasferitosi temporaneamente a Combray, ripete le passeggiate effettuate da bambino, da solo o con Gilberte, che gli rivela quanto vicine in realtà fossero Méséglices e la parte di Guermantes, che nella sua fantasia puerile e nel suo ricordo erano addirittura inconciliabili. Inoltre, rievocando i tempi passati si scambiano delle confidenze legate alla loro esperienza comune:

Riversando di colpo su di lei la tenerezza di cui mi colmava l’aria deliziosa, la brezza che respiravamo, le dissi: «L’altro giorno parlavate del sentiero in salita. Come vi amavo, allora!». Rispose: «Perché non me lo dicevate? non me n’ero accorta. Io vi amavo. E una volta vi ho anche fatto un’offerta in piena regola. – Ma quando? – La prima volta a Tansonville, voi passeggiavate con la vostra famiglia, io tornavo a casa, non avevo mai visto un ragazzino così bello. Avevo l’abitudine, aggiunse in tono vago e pudico, d’andare a giocare con certi amichetti fra le rovine della torre di Roussainville. […] E di colpo io mi dissi che la vera Gilberte, la vera Albertine erano forse quelle che si erano offerte al primo istante nel loro sguardo, una davanti alla siepe di spini rosa, l’altra sulla spiaggia. Ed ero stato io che non avendolo capito, avendolo ripescato solo più tardi nella memoria, dopo un intervallo durante il quale, a causa dell’intercapedine di sentimenti creata dai miei discorsi, loro non avevano più osato essere franche come al primo momento, avevo guastato tutto con la mia goffaggine. Le avevo “mancate” per le stesse ragioni e ancora più completamente – sebbene, per la verità, il fallimento relativo con loro fosse stato meno assurdo – di quanto aveva fatto Saint-Loup con Rachel. […] c’erano stati i Champs-Élysées. – Sì, ma allora mi amavate troppo, mi sentivo inquisita in tutto ciò che facevo.» Non pensai di chiederle chi fosse il giovanotto in compagnia del quale percorreva il viale dei Champs-Élysées il giorno che ero andato là per rivederla e mi sarei riconciliato con lei quando ancora era possibile farlo, quel giorno che avrebbe forse cambiato tutta la mia vita se non avessi incontrato due ombre che avanzavano fianco a fianco nel crepuscolo. Se glielo avessi chiesto, mi avrebbe forse detto la verità, come Albertine se fosse resuscitata. E, in effetti, le donne che non amiamo più e che rivediamo dopo anni, non c’è forse, fra loro e noi, la morte, proprio come se non fossero più di questo mondo, dal momento che la scomparsa del nostro amore fa di quelle che erano allora, o di quello che allora eravamo, dei morti? Oppure, forse, non si sarebbe ricordata, o avrebbe mentito. In ogni caso, saperlo non aveva più interesse per me, perché il mio cuore era ancora più cambiato del viso di Gilberte.

Non tutto viene chiarito, dunque, ma dal racconto traspare quanto il tempo abbia inibito i desideri e le fantasie di gioventù.

Così, a tanti anni di distanza, fu necessario far subire un ritocco a un’immagine che ricordavo tanto bene, operazione che mi rese abbastanza felice mostrandomi come l’abisso invalicabile che allora avevo creduto esistere fra me e un certo genere di ragazzine dai capelli dorati fosse altrettanto immaginario dell’abisso di Pascal, e che mi parve poetica in virtù della lunga serie d’anni al cui termine s’era reso necessario compierla. […] Ciò che desideravo, allora, così febbrilmente, era stata sul punto, se solo avessi saputo capirlo e ritrovarlo, di farmelo gustare sin dalla mia adolescenza. Più completamente ancora di quanto avessi mai creduto, Gilberte era davvero, a quel tempo, dalla parte di Méséglise.

A questo punto «Alla ricerca del tempo perduto» si avvia all’ultimo volume, «Il tempo ritrovato».

Un pensiero riguardo “PROUST 100 ANNI DOPO: BREVI ESTRATTI DALLA «RECHERCHE» / 25: LA SCOMPARSA DI ALBERTINE E L’INDIFFERENZA (a cura di Vittorio Panicara).”

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