PROUST 100 ANNI DOPO: BREVI ESTRATTI DALLA «RECHERCHE» / 24: LA SCOMPARSA DI ALBERTINE, DAL DOLORE ALL’OBLIO (a cura di Vittorio Panicara).

Il sesto volume di «Alla ricerca del tempo perduto» nell’edizione Mondadori (con traduzione di Giovanni Raboni), a cui fa riferimento questo articolo, si intitola «Albertine scomparsa» (altrimenti: «La fuggitiva»).
L’azione riprende dalla partenza della giovane donna, che ha lasciato Parigi e la casa del Narratore. La lettera che lei gli ha lasciato suscita in lui una sofferenza inaspettata e profonda, tale da includere in sé tutta l’angoscia provata in precedenza durante la “prigionia” di Albertine causata dalla sua gelosia. La sofferenza ha diversi aspetti:

La sofferenza, prolungamento di un colpo morale subìto, aspira a cambiar forma; si spera di dissolverla facendo progetti, chiedendo informazioni; si vuole che passi attraverso le sue innumerevoli metamorfosi, ci vuole meno coraggio che non a conservarla pura; il letto sembra così stretto, così duro, così freddo quando ci si corica con il proprio dolore. Mi rimisi dunque in piedi; mi muovevo nella stanza con una prudenza infinita, mi mettevo in modo da non scorgere la sedia di Albertine, la pianola sui cui pedali appoggiava le sue pianelle dorate, tutti gli oggetti di cui aveva fatto uso e che, nel linguaggio particolare insegnato loro dai miei ricordi, sembrava volessero darmi una traduzione, una versione diversa, annunciarmi una seconda volta la notizia della sua partenza. Ma, pur non guardandoli, li vedevo; le forze mi abbandonarono, caddi a sedere in una di quelle poltrone di raso azzurro il cui luccichio m’aveva fatto fare un’ora prima, nel chiaroscuro della camera anestetizzata da un raggio di sole, dei sogni allora appassionatamente accarezzati, adesso così lontani da me.

Il Nostro intraprende delle ricerche impiegando una persona fidata come Saint-Loup; cerca così di nascondere il suo desiderio che lei ritorni, ma la missione di Robert fallisce: lei si è accorta della sua presenza in casa di Madame de Bontemps e in una lettera lo rimprovera di non averle chiesto esplicitamente di tornare. Il Narratore riflette sulle contraddizioni del suo sentire e sul legame tra desiderio e oblio:

Se ero d’umore cupo, i miei furori contro di lei rinascevano tutti e non avevo più voglia di baciarla, sentivo l’assoluta impossibilità che mi rendesse felice, non volevo più che farle del male e impedirle d’appartenere ad altri. Ma il risultato di questi due umori opposti era identico: bisognava che lei tornasse al più presto. E tuttavia, per quanta gioia quel ritorno potesse darmi sul momento, sentivo che ben presto si sarebbero presentate le stesse difficoltà, e che la ricerca della felicità nella soddisfazione del desiderio morale era non meno ingenua della pretesa di raggiungere l’orizzonte camminando dritto davanti a sé. Più avanza il desiderio, più il vero possesso s’allontana. E così, se è possibile trovare la felicità o perlomeno l’assenza di dolore, non è la soddisfazione del desiderio che bisogna cercare, ma la sua riduzione progressiva, la sua estinzione finale. Si cerca di vedere la persona amata, bisognerebbe cercare di non vederla, solo l’oblio finisce col portare l’estinzione del desiderio. […] I legami fra un essere e noi non esistono che nel nostro pensiero. L’affievolirsi della memoria li allenta, e a dispetto dell’illusione di cui vorremmo esser vittime e di cui, per amore, per amicizia, per cortesia, per rispetto umano, per dovere, rendiamo vittime gli altri, è da soli che esistiamo. L’uomo è l’essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri se non in sé; e, se dice il contrario, mente.

Il Nostro, afflitto da un dolore di quelli che “fanno il giro della Terra in un secondo, come l’elettricità”, decide di spedire un telegramma ad Albertine chiedendole disperatamente di tornare, ma subito riceve dalla Bontemps l’annuncio che

la nostra piccola Albertine è morta cadendo da cavallo.


Si tratta di una sofferenza nuova:

 Istintivamente mi passai una mano sul collo, sulle labbra, che si sentivano baciati da lei da quando lei era partita e che non lo sarebbero stati mai più; vi passai una mano così come la mamma, quando era morta la nonna, mi aveva accarezzato dicendomi: «Povero piccino, la nonna che ti voleva tanto bene non ti bacerà più». Tutta la mia vita futura era stata strappata dal mio cuore. La mia vita futura? Non avevo dunque pensato, qualche volta, di viverla senza Albertine? Ma no! Da tempo le avevo dunque votato ogni minuto della mia vita fino alla morte? Ma certo! Non ero stato capace d’accorgermene, di quel futuro indissolubile da lei; ma, adesso che gli era stato tolto il sigillo, sentivo il posto che aveva occupato nella voragine del mio cuore.

Una sofferenza acuita dal fatto di ricevere da Françoise due lettere di Albertine, quasi contemporanee, in cui da una parte si dice lieta che Andrée sia stata mandata da lui a trovarla, e un’altra in cui si dichiara pronta al ritorno:

Sarebbe troppo tardi se tornassi da voi? Se non avete ancora scritto ad Andrée, acconsentireste a riprendermi? Mi sottometterò alla vostra decisione, vi supplico di non tardare a farmela conoscere, potete immaginare con che impazienza l’aspetto. Se decideste che posso tornare, prenderei immediatamente il treno. Vostra con tutto il cuore, Albertine.

Una volta morta, Albertine è più che mai viva nel cuore del Nostro:

Per entrare in noi, un essere è stato costretto a prendere la forma, a piegarsi alla cornice del tempo; non apparendoci che per istanti successivi, non ha potuto lasciarci di sé che un solo aspetto alla volta, consegnarci di sé nulla più d’una singola fotografia. Grande debolezza, certo, per un essere, consistere in una semplice collezione di momenti; grande forza, anche; s’appoggia alla memoria, e la memoria d’un momento non è informata di tutto ciò che è avvenuto in seguito; quel momento ch’essa ha registrato dura ancora, vive ancora, e con quel momento l’essere che vi si profilava. E poi, questo sbriciolamento non si limita a far vivere colei che è morta, la moltiplica. Per consolarmi, avrei dovuto dimenticare non una soltanto, ma innumerevoli Albertine. Quando fossi arrivato a sopportare il dolore d’aver perduto quella, avrei dovuto ricominciare con un’altra, con cento altre.
Fu allora che la mia vita mutò completamente.

La speranza di dimenticare Albertine vincendo i rimpianti è più straziante di un timore. È una guarigione che non si augura. Dovranno morire tutti gli io successivi che l’hanno amata. Ma Albertine morta è nella sua immaginazione completamente libera e un sospetto geloso conosce solo il presente:

L’avevo tenuta, negli ultimi mesi, rinchiusa in casa mia. Ma adesso, nella mia immaginazione, Albertine era libera; faceva un cattivo uso di tale libertà, si prostituiva a questa e a quella. Prima pensavo di continuo all’avvenire incerto che si spiegava davanti a noi, cercavo di interpretarlo. E adesso ciò che mi stava davanti come un doppio dell’avvenire – preoccupante quanto un avvenire […] – non era più l’Avvenire di Albertine, era il suo Passato. Il suo Passato? È detto male: perché la gelosia non ha né passato né futuro, e quel che immagina è sempre un Presente.

Ecco allora che il Narratore inizia una ricerca nel passato di Albertine, incaricando Aimé di partire per Balbec. Ma non può sfuggire alla tormentosa dolcezza dei ricordi (il ricordo intenerito delle ore di fiduciosa tenerezza), o al martirio del rimorso. Riconosce solo ora le impressioni d’amore del passato:

L’arte non è la sola a conferire fascino e mistero alle cose più insignificanti; lo stesso potere di metterle in rapporto intimo con noi è assegnato anche al dolore. […] Un’impressione d’amore è fuori proporzione rispetto alle altre impressioni della vita, ma è impossibile rendersene conto finché è dispersa in mezzo ad esse.

Il Nostro si vergogna di essere sopravvissuto alla giovane, che rimpiange di non aver voluto conoscere per se stessa, e rievoca la morte della nonna:

In quei momenti, accostando la morte della nonna a quella di Albertine, mi sembrava che la mia vita fosse macchiata da un doppio assassinio che solo la viltà del mondo poteva perdonarmi.

Le catene che lui stesso ha create quando Albertine era viva lo stringono ancora a causa dell’abitudine. Arriva a chiedersi quale peculiarità abbia avuto l’innamoramento per Albertine, al quale riconosce una certa casualità.
Del resto, la gelosia ritorna ad affliggere l’animo del Narratore con le notizie riferite da Aimé, di ritorno da Balbec, tali da confermare in pieno l’omosessualità della donna. Le indagini proseguono: Aimé dovrà scoprire ciò che ha fatto Albertine nelle sue ultime settimane di vita. Queste rivelazioni costituiscono  l’ultimo legame tra lui e la donna, provocando un dolore che saprà sopravvivere allo stesso ricordo. Al Narratore conoscere le colpe di lei non basta, vorrebbe che lei sapesse che lui le conosce.
Ma in fondo, quante Albertine ha conosciuto? Numerose, tra cui quella buona, capace di fargli dimenticare i suoi vizi, un’Albertine che lui può perdonare:

Avesse fatto pure, povera piccina, quel che aveva voluto: c’erano sentimenti nei quali potevamo unirci al di sopra di quanto ci divideva. Se la storia era vera, e se Albertine mi aveva nascosto i suoi gusti, era stato per non farmi soffrire. Ebbi la dolcezza di sentirglielo dire, a quella Albertine. D’altronde, ne avevo mai conosciuto un’altra? Nei nostri rapporti con un altro essere, le maggiori cause d’errore sono che noi abbiamo buon cuore oppure che, quell’essere, lo amiamo. Si ama per un sorriso, per uno sguardo, per una spalla. […] Evocai lo sguardo bello, così buono e compassionevole, di quella Albertine, le sue grosse guance, il suo collo dalla grana larga. Era l’immagine di una morta; ma, poiché quella morta viveva, mi fu facile fare immediatamente ciò che avrei infallibilmente fatto se mi fosse stata accanto in vita (e che farei se mai dovessi ritrovarla in un’altra vita): la perdonai.

Ciò nonostante, il Narratore riesce man mano a pensare ad Albertine sempre di meno, avvicinandosi all’oblio. I ricordi ritornano, anche nel sonno, ma la colpevolezza di lei diviene un’idea abituale quanto quella dell’Albertine buona. Questo lo aiuta a dimenticare.
Passato del tempo, riceve la visita di Andrée e lui la interroga sui gusti sessuali della sua amica Albertine. Andrée ammette di avere lei stessa delle tendenze lesbiche, ma afferma decisamente di non aver avuto rapporti con lei.
Il Narratore sente che il suo amore per Albertine si affievolisce sempre di più, fin quasi a scomparire. Ma in cosa consiste l’oblio?

Come c’è una geometria nello spazio, c’è una psicologia nel tempo, dove i calcoli di una psicologia piana non sarebbero più esatti perché non terrebbero conto del Tempo e di una delle forme che esso riveste, l’oblio; l’oblio di cui cominciavo a sentire la forza, e che come strumento di adattamento alla realtà è così potente perché distrugge a poco a poco dentro di noi la sopravvivenza del passato, che con la realtà è in costante contraddizione. E, in verità, che un giorno non avrei più amato Albertine, avrei ben potuto indovinarlo prima. Quando, grazie alla differenza fra l’importanza che la sua persona e le sue azioni avevano per me e per gli altri, avevo capito che il mio amore era meno un amore per lei che un amore in me, da questo carattere soggettivo del mio amore avrei potuto dedurre diverse conseguenze, e in particolare che, essendo uno stato mentale, esso poteva sopravvivere abbastanza a lungo alla persona, ma anche che – non avendo con questa persona alcun legame effettivo, non avendo alcun sostegno al di fuori di sé – esso sarebbe andato un giorno (come ogni stato mentale, compresi i più durevoli) fuori uso, sarebbe stato “sostituito”; e che, da quel giorno, tutto quanto sembrava unirmi così dolcemente, così indissolubilmente al ricordo di Albertine, non sarebbe più esistito per me. La disgrazia degli esseri è di non essere per noi che tavole di collezioni molto usurabili nel nostro pensiero. Proprio per questo, si fondano su di essi progetti che hanno l’ardore del pensiero; ma il pensiero si stanca, il ricordo si distrugge: sarebbe venuto il giorno in cui avrei dato volentieri la camera di Albertine alla prima venuta, così come avevo dato senza alcun dispiacere ad Albertine la biglia d’agata o altri regali di Gilberte.

Finisce qui il primo capitolo di «Albertine scomparsa»: «Il dolore e l’oblio».

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