CHOMSKY E LA GUERRA DI PUTIN: l’intervista al Corriere della Sera del 20 aprile 2022 (testo libero, non riservato agli abbonati), con sommario e commento di Vittorio Panicara.

Riporto qui il titolo e il sottotitolo dell’articolo.

Noam Chomsky: «Putin dovrebbe essere processato, ma come tutti i potenti è autoimmune»

di Luca Mastrantonio, 20 aprile 2022

Il linguista americano (di padre ucraino): «In linea di principio, i criminali di guerra dovrebbero essere arrestati. In pratica, i potenti sono autoimmuni. Per trent’anni il governo Usa è stato avvertito da diplomatici e Cia sulle preoccupazioni russe.

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Il titolo del Corriere mette in evidenza la parte del testo riguardante la possibilità (scarsa) che Putin venga processato per i suoi crimini di guerra (i potenti sono autoimmuni). L’intervista non è solo attuale, ma anticipa i temi dell’ultimo libro di Chomsky, in uscita in questi giorni e citato all’inizio.  

SOMMARIO E COMMENTO (di V. Panicara)

L’invasione dell’Ucraina è un “crimine internazionale supremo, che differisce dagli altri crimini di guerra in quanto contiene in sé la somma di tutti i mali” (tribunale di Norimberga). Chomsky porta come precedenti storici l’invasione americana dell’Iraq e la spartizione della Polonia tra Hitler e Stalin. La dichiarazione è importante, in quanto esclude ogni sottovalutazione dell’aggressione e delle responsabilità russe.
Infatti, come se non bastassero gli orrori venuti alla luce recentemente, l’invasione dell’Ucraina contiene in sé la somma di tutti i mali: impedisce di affrontare seriamente la crisi del riscaldamento ambientale, accelerando la catastrofe finale, esalta i profitti dei produttori di petrolio (e dei mercanti di armi, aggiungo io) e rappresenta una minaccia di guerra nucleare (tematizzata a più riprese).
Sarebbe giusto processare Putin, ma solo i deboli e i vinti sono soggetti a processi per i loro crimini
Zelensky finora ha mostrato coraggio e integrità. Chomsky, piuttosto benevolo con il presidente ucraino, ha evitato la trappola insita nella domanda, che riportava la possibilità che il presidente ucraino fosse un burattino della NATO.
Riguardo all’invio di armi, Chomsky si mostra possibilista: può essere deciso se può aiutare le vittime ucraine, ma solo in questo caso. In cima deve rimanere la soluzione diplomatica per evitare un ulteriore disastro. Chomsky mostra un saggio pragmatismo che manca a molti commentatori: il conseguimento della pace è il bene supremo, ma il soccorso con l’invio di armi può essere un mezzo idoneo, finché serve e soltanto in questo caso. Chomsky si rende conto della situazione reale e non cade in facili “ideologismi”.
Riguardo all’analogia fra l’attuale resistenza ucraina e quella che portò l’Italia alla Liberazione, Chomsky riassume in breve ciò che accadde in Italia, citando Pasquino, e mette in evidenza il ruolo degli Alleati e soprattutto quello degli Stati Uniti, che nel dopoguerra fecero in modo che la destra mantenesse il potere (veramente la Democrazia Cristiana era un partito di massa interclassista di centro). Tra le differenze, va notato che nel 1943-45 non esisteva lo spettro della guerra nucleare. Oggi accade che il governo ucraino chieda talvolta un tipo di appoggio che potrebbe scatenare una fatale terza guerra mondiale.
Stimolato dall’intervistatore, Chomsky ammette le tante differenze tra i partigiani italiani e i resistenti ucraini di oggi, ma entrambe (le resistenze) sono eroiche e pienamente giustificate. Il nazionalismo del governo ucraino, che ovviamente Chomsky non ignora, non inficia il suo giudizio. Guida la resistenza contro i russi e tanto basta.
La famiglia della madre di Chomsky era ucraina, ma i legami con questo passato, segnato dalla repressione contro gli ebrei, non sono decisivi per i suoi giudizi.
Chi è veramente Putin? Quali sono i suoi piani e fino a che punto conta la sua mente contorta? Chomsky si limita a segnalare il fatto che da trent’anni la Russia sente minacciata la sua sicurezza e ha fissato le sue “linee rosse”: nessuna adesione alla Nato per Georgia e Ucraina, nel cuore geostrategico della Russia. Lo provano le testimonianze di molti importanti diplomatici americani, che avevano avvertito i vari presidenti – per esempio Clinton – del pericolo. A Gorbaciov era stato promesso che la NATO mai si sarebbe allargata a est della Germania. È da notare che l’analisi di Chomsky non assume mai un tono giustificativo delle richieste russe, anche se le sue critiche alla NATO sono precise (ne ha sempre parlato, senza omissioni) e permettono di capire meglio la situazione odierna (alcuni in Italia, di fronte alle spiegazioni di geopolitica accusano immediatamente gli interlocutori di filo-putinismo).
Per realizzare l’ideale dell’autodeterminazione dei popoli, l’ONU dovrebbe essere rilanciata dai movimenti popolari, in modo da renderla indipendente. Chomsky si riferisce al potere di veto del Consiglio di Sicurezza, che dovrebbe essere superato. Sa quanto sia difficile: non è un sogno impossibile, ma ci vorrà molto lavoro.
A livello mondiale l’appoggio alle sanzioni è limitato all’anglosfera, all’Europa e al Giappone. Gli altri paesi condannano l’invasione, ma ricordano agli americani e ai loro alleati che loro stessi sono o sono stati coinvolti in atrocità scioccanti in Afghanistan, Yemen, Palestina…
L’Ucraina non deve andare distrutta come è successo con la Cecenia e l’Iraq, e l’unico mezzo per salvarla è la soluzione diplomatica, i cui contorni sono chiari da tempo: neutralizzazione dell’Ucraina come l’Austria durante la Guerra Fredda e qualche accordo sulla falsariga di Minsk II per una federazione con notevole autonomia per la regione del Donbass. Ma gli Stati Uniti e la Cina si rifiutano ancora di svolgere un ruolo attivo in questa direzione. Questa conclusione implica due verità note a tutti, che possono sostenere la posizione di Chomsky: il rifiuto (forse temporaneo) di Putin di negoziare la pace; la minaccia di una terza guerra mondiale, una guerra nucleare che sarebbe l’ultima per il genere umano (il linguista ha parlato di tutto questo in altre dichiarazioni).
Il giornalista definisce giustamente Chomsky socialista libertario. Le sue critiche al sistema internazionale, alla globalizzazione capitalistica, alla politica del suo paese, e altro ancora, sono note. Di fronte alla guerra in Ucraina mantiene tutta la sua lucidità e, a mio parere, sgombra il campo da ogni emotività e da qualsiasi astratto ideologismo, indicando la direzione giusta con cui muoversi, anche se non è molto e di ciò che dice si può ovviamente discutere.

NOTA BENE

Gli a capo nel testo precedente si riferiscono alle diverse risposte di Chomsky.
L’intervista, riportata qui di seguito, può essere letta anche al seguente link:
https://www.corriere.it/politica/22_aprile_20/noam-chomsky-intervista-cf885756-c014-11ec-9f78-c9d279c21b38.shtml

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TESTO DELL’INTERVISTA

Il grande linguista Noam Chomsky segue l’Ucraina da anni. Le sue radici sono lì, ma non è questione di legami di sangue o di terra. La famiglia di Chomsky, attivista socialista libertario, è il genere umano. Minacciato dalla catastrofe climatica globale verso cui ci sta trascinando la guerra di Putin. Con gravi responsabilità degli Usa e della Nato che Chomsky denuncia da anni, come nell’intervista del 2018 raccolta in Perché l’Ucraina (libro che esce domani da Ponte alle Grazie). Con il Corriere, via mail, ha accettato di commentare i due mesi di guerra.

Quali precedenti storici le ricorda questa invasione?

«Come l’invasione americana dell’Iraq e l’invasione della Polonia da parte di Hitler e Stalin, l’invasione russa dell’Ucraina è un esempio da manuale di ciò che il Tribunale di Norimberga ha definito il “crimine internazionale supremo, che differisce dagli altri crimini di guerra in quanto contiene in sé la somma di tutti i mali”. Nel caso dell’Iraq, ciò include l’istigazione a conflitti etnici che hanno lacerato il Paese e la regione, l’ascesa di Isis e altri orrori».

E nel caso dell’Ucraina?

«È troppo presto per pronunciarsi sul “male come la somma di tutti i mali”, ma è già sostanziale, a prescindere dagli orrori in Ucraina. Ha invertito gli sforzi per affrontare la crisi del riscaldamento globale, suscitando un’euforia nei maggiori produttori di petrolio, liberati dal fastidio degli ambientalisti e lodati come salvatori della civiltà mentre raccolgono enormi profitti e accelerano la catastrofe globale. L’invasione rappresenta anche una minaccia di guerra nucleare, che potrebbe rapidamente diventare terminale. Ce ne sono altre, già evidenti, troppo complesse da discutere qui».

Putin va processato?

«In linea di principio, i criminali di guerra dovrebbero essere arrestati e processati. In pratica, i potenti sono autoimmuni. Solo i deboli e i vinti sono soggetti a processi per i loro crimini».

Dato che è una aggressione, partiamo dalla vittima, il popolo ucraino e il suo leader, Zelensky. Chi lo critica dice che è un burattino della Nato, chi lo esalta lo considera un eroe moderno. Per lei chi è?

«Zelensky ha mostrato grande coraggio e integrità nel guidare l’Ucraina in difesa dall’aggressione omicida».

La paura di una terza guerra mondiale può portare a pensare che il sacrificio dell’Ucraina sia preferibile a un potenziale conflitto nucleare. Gli ucraini però resistono e chiedono armi. È favorevole all’invio di armi in Ucraina?

«La nostra preoccupazione dovrebbe essere il destino degli ucraini. Il modo per salvarli da un ulteriore disastro è quello di passare a una soluzione diplomatica. L’invio di armi dovrebbe essere deciso in base al fatto che possa aiutare o danneggiare le vittime ucraine. Entrambi gli scenari sono possibili, ovviamente».

Questo tema è molto dibattuto in Italia, dove la Liberazione dal nazifascismo è stata possibile grazie agli Alleati e all’aiuto in armi che hanno dato alla Resistenza.

«La “liberazione” dell’Italia da parte degli Alleati è questione complessa. Quando le forze alleate liberarono l’Italia meridionale nel 1943, stabilirono il governo Badoglio e della famiglia reale, accogliendo i collaboratori fascisti, come nella Germania liberata. Mentre si dirigevano verso nord, disperdevano la resistenza antifascista e smantellavano gli organi di governo locali che i partigiani avevano formato nel loro tentativo “di creare le basi per un nuovo Stato democratico e repubblicano nelle varie zone che riuscì a liberare dai tedeschi”, cito Gianfranco Pasquino. Negli anni successivi gli Usa intervennero radicalmente in Italia per far sì che la destra conservasse il potere».

Riguardo la Resistenza, vede più differenze o similitudini tra quella italiana al nazifascismo e quella ucraina all’invasione russa?

«Ci sono naturalmente molte differenze tra la resistenza partigiana italiana e la resistenza ucraina guidata dall’esercito contro l’aggressione russa. La somiglianza cruciale è che entrambe sono eroiche e pienamente giustificate».

La sua famiglia è originaria di quei confini. Sente dei legami particolari?

«La famiglia di mia madre lasciò quella che oggi è la Bielorussia quando lei era una bambina, nel 1905. La famiglia di mio padre fuggì dall’Ucraina zarista nel 1913. Ma non ho mai sentito parlare di legami con quelle terre. A parte i parenti stretti di mio padre, tutti gli altri furono sterminati, a quanto pare, e probabilmente l’intera comunità ebraica nella loro piccola città. L’ultimo parente conosciuto fu ucciso nel 1942 da nazisti ucraini, secondo lo Yad va-Shem. Ma devo dire che la colpa è diffusa. Nel 1924, gli Usa approvarono la loro prima legge razzista sull’immigrazione, più o meno contro italiani ed ebrei, mandando indirettamente molti ebrei nei campi di sterminio».

Dagli aggrediti all’aggressore, Putin. È un tiranno passivo-aggressivo? Un terrorista geopolitico senza un piano B?

«Ci sono due modi per determinare cosa ha in mente Putin. Uno è speculare sulla sua mente contorta. L’altro è ascoltare quello che dice da tempo. Per 30 anni il governo degli Usa è stato avvertito, in modo fermo e chiaro, che stava perseguendo un percorso pericoloso e inquietante respingendo le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza e, in particolare, le sue esplicite linee rosse: nessuna adesione alla Nato per Georgia e Ucraina, nel cuore geostrategico della Russia. Gli avvertimenti sono arrivati dai diplomatici più rispettati (George Kennan, Henry Kissinger, l’ambasciatore Jack Matlock), dagli attuali ed ex direttori della Cia. Il segretario alla Difesa di Clinton, William Perry, è andato vicino alle dimissioni in segno di protesta quando Clinton ha deciso di violare la ferma e inequivocabile promessa del suo predecessore a Gorbaciov che la Nato non si sarebbe allargata “di un pollice a est”, vale a dire a est della Germania».

L’invasione di Putin ha ridato peso alla Nato e indebolito ancor di più l’Onu, la cui architettura non è in grado di difendere il principio fondamentale della Carta, l’autodeterminazione dei popoli. Come rilanciare concretamente il ruolo dell’Onu?

«L’Onu può agire nella misura in cui lo consentono i cinque membri permanenti. Hanno bloccato qualsiasi tentativo di agire da parte del Consiglio di sicurezza o di altre istituzioni dell’Onu quando ciò lede i loro stessi interessi. Per cambiare questa situazione i movimenti popolari devono costringere i loro governi a consentire alle Nazioni Unite di agire in modo indipendente. Non è un sogno impossibile, ma ci vorrà molto lavoro».

In Europa, in Occidente, abbiamo una visione limitata della crisi ucraina?

«La mappa delle sanzioni è chiara. La maggior parte del mondo non partecipa. Le sanzioni sono state imposte dall’anglosfera, dall’Europa e da quelli che l’Apartheid sudafricana ha definito “bianchi onorari” come il Giappone. Praticamente il mondo intero condanna duramente l’invasione russa, ma aggiunge “E allora?”. Ribattendo che gli Usa e i loro alleati sono impegnati in atrocità scioccanti proprio in questo momento: in Afghanistan, Yemen, Palestina…».

Come evitare che l’Ucraina diventi una nuova Cecenia?

«Le guerre possono finire con la distruzione di una parte in causa, come in Cecenia o Iraq, o con una soluzione diplomatica. Nel caso dell’Ucraina, i contorni di base di un accordo diplomatico sono chiari da tempo: neutralizzazione dell’Ucraina come l’Austria durante la Guerra Fredda e qualche accordo sulla falsariga di Minsk II per una federazione con notevole autonomia per la regione del Donbass. Ma gli Stati Uniti si rifiutano ancora di perseguire una soluzione diplomatica, così come la Cina, che potrebbe anche assumere un ruolo costruttivo se lo volesse».

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