POESIA PER CHI NON LEGGE POESIA di Vittorio Panicara

In un’intervista radiofonica del gennaio 1993 Josif Brodskij – sua la citazione riportata come titolo – sottolineò l’assurdo di una società, la nostra, che continua ad avere un pubblico di lettori di poesia che è l’uno per cento della popolazione: e questo in un tempo in cui, alla fine di un lungo processo storico, praticamente tutti sanno leggere e scrivere. Aggiungeva che la causa andava ricercata nei libri di poesie, o troppo rari, o troppo costosi.  La politica editoriale e la crescente difficoltà di lettura dei testi completano il disastro. Il problema è quello di un’eventuale auto-segregazione della poesia, spinta a ciò dalla cieca politica editoriale che tutti conosciamo.

Per dimostrare che libri validi di poesia esistono e possono essere letti da chiunque, ma Che difficile è per un poeta riuscire ad arrivare materialmente ai lettori, vorrei proporre una raccolta, oggi fuori catalogo, di un autore italiano che, tra l’altro, ha anche soggiornato in Svizzera qualche  tempo fa.  Il poeta a cui faccio riferimento è Siro Angeli, il libro è la silloge poetica intitolata Il grillo della Suburra, edito per i tipi de All’insegna del pesce d’oro nel 1990.  Si tratta di una ristampa proposta da Dante Isella e voluta da Vanni Scheiwiller, come ricorda nella postilla lo stesso Angeli.  Quasi tutte le poesie, infatti, erano state pubblicate nel 1975, anno in cui Siro Angeli, personaggio assai noto nel panorama culturale di quegli anni, era a Roma in qualità di dirigente RAI.

In queste poesie, scritte nell’arco di vent’anni, impegno esistenziale e civile si fondono in un’unità poetica compatta e omogenea, in versi di limpida chiarezza, che, come osservava Alfonso Gatto nella prefazione, diventano «difficili»  man mano che si rileggono. Il poeta, nella composizione che dà il titolo al testo, è un grillo appartato, poco più d’un punto / nel buio, un grumo disperso / di vita in sé scisso ed assunto / nel magma in cui l’universo / fluisce… Egli osserva e si interroga, nel caos cittadino che lo sommerge: il senso delle sue domande, a cui non c’è risposta, è reperibile nello stesso fluire della vita, che supera tutti gli ostacoli, al di là di ogni rimpianto lirico.  Le cose intorno a lui, dalla stazione Termini alle strade romane, sfiorano  il poeta come fa il Tevere con le sponde che lo sporcano: vivere è contagiarsi, ma alla fine la foce inghiottirà tutto, nell’odore del mare / dove la storia alfine / tornerà alla natura. La parabola dell’esistenza umana è quella stessa della Storia, descritta con immagini forti e versi incisivi,  paragonabili alle schegge, nella poesia che ha questo nome,  che entrano nella carne come gli eventi che nessun calcolo può prevedere; nello stesso componimento si affaccia quello che è forse il tema dominante dell’intera raccolta: la libertà.  La voglia di riscatto diventa qui determinazione morale, necessità di trovare una salvezza, uno scampo, nell’attesa montaliana (citata ne La lisca) del miracolo:

Cerchi alla libertà

in ogni evento un margine,

un punto in cui sia salva

I versi di Angeli trovano la loro migliore realizzazione nelle forme aperte, nelle composizioni brevi e nelle immagini concrete, dalle rondini del cielo al feto avvolto nel giornale (Conguaglio). È come se le cose fossero non solo fonte di meraviglia, ma di rispecchiamento della vita: l’io poetico le accoglie e le riporta, nonostante il loro degrado, nel suo discorso quasi epigrammatico, con parole dall’accento dantesco (e non mancano le citazioni, come lo Stige che si fa Lete nella stessa Tevere).e dal suono quasi stridente. L’ironia del poeta riposa su una saggezza disperata, come la definisce Gatto, portata a  paragonare il vivere all’inutile crescita delle unghie dei morti, in Le unghie, o a una parola ripetuta finché non ha senso (Qualcuno), come faceva il poeta da bambino.

La caratteristica saliente della poesia di Angeli, oltre al metro tutto personale, è un disincanto tutto novecentesco, che si esprime in un estraniamento realizzato con un tu indefinito, come nelle Approssimazioni all’arte poetica; o con un io presente ma distaccato dalle cose che vede, deriva di una vita che sente quasi sfuggire; o con l’assenza di un io poetico che produce da sé quel degrado delle cose che, da sole, sono segno di angoscia e pena. La rinuncia alla lirica della nostalgia e del rimpianto, finita ormai la possibilità stessa dell’idillio, dà luogo, malgrado alcuni cedimenti all’elegia, a una poesia vibrante e dura nelle immagini, ma stilisticamente classica, veicolo di una denuncia che è essenzialmente umana ed è impegno nel senso più pieno e nobile.

E per tornare all’intervista di Brodskij, voglio ancora citare le sue parole, quando definiva la poesia il più efficace acceleratore mentale e il più rapido strumento di conoscenza, in quanto risultato di un processo in cui vengono a comporsi l’intuizione che nega la centralità dell’individuo e la razionalità analitica di tipo occidentale.  Ecco, credo che nella poesia di Angeli questa fusione si realizzi in modo compiuto.

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