IL CASO BERLUSCONI TRE MESI DOPO (di Vittorio Panicara)

Circa tre mesi fa moriva Silvio Berlusconi all’età di 86 anni, salutato dall’Italia con i funerali di Stato e il lutto nazionale. Era “sceso in campo” il 26 gennaio 1994 con Forza Italia, suo partito personale; nello stesso anno vinceva le elezioni politiche e diventava Presidente del Consiglio. Sono vicende arcinote: quattro governi Berlusconi, fino al 2011; una promessa politica di “rivoluzione liberale” mai mantenuta; un esercizio del potere di tipo populista e patrimonialista; le cosiddette leggi ad personam, un unicum della storia italiana; contatti poco ammissibili per un politico (iscrizione alla Loggia P2 di Licio Gelli, la condanna di Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa); accuse di corruzione, concussione, prostituzione minorile, frode fiscale, corruzione in atti giudiziari, concorso in strage; condanna definitiva per frode fiscale legata alla compravendita di diritti televisivi. E molto ci sarebbe da aggiungere. Di fronte a una società che si sta sfaldando, Berlusconi si è proposto come leader di quel mondo di valori (o disvalori) che le sue televisioni private hanno diffuso incessantemente, e che Mediaset ancora diffonde. Dopo il quarto governo Berlusconi, è riuscito a rientrare e a essere ancora attivo in politica. Il 12 giugno scorso se n’è andato un uomo a dir poco discusso, in ogni caso un politico che ha modificato profondamente la storia italiana e il carattere degli italiani. E non in meglio, se si pensa alla questione di genere, al rapporto opportunistico con la Chiesa, al credo liberista imposto in tutti i campi dell’attività umana, a un blocco sociale che si riconosce nei suoi interessi particolari. Eppure, un personaggio del genere ha trovato successo e seguito in larga parte dell’opinione pubblica italiana.
Ciò che segue non è un’analisi politica dell’operato di Silvio Berlusconi, ma una riflessione su di lui in quanto fenomeno socio-culturale di portata storica. Non conta qui tanto capire il Berlusconi politico, di cui si è detto, quanto il “caso Berlusconi”, il mito e i motivi della sua popolarità in Italia. Occorre tener presente il livello altissimo di consenso riscosso in Italia (ma non nel mondo, neanche tra coloro che gli erano politicamente vicini), una popolarità che ha portato tanti a credere a tutte le sue menzogne, anche a quelle più assurde e strampalate. Si è trattato di un’adesione poco razionale, simile al cieco sostegno dei tifosi di calcio per la loro squadra di club (e la vicenda del Milan è quanto meno esemplare). È praticamente impossibile far ragionare i tifosi, o convincere la folla che era in lutto per Berlusconi che ciò in cui hanno creduto per anni era una balla colossale. Il pubblico televisivo assuefatto alla visione del mondo che “emana” dai canali di Mediaset (e non solo) non crederà mai che il Cavaliere era in realtà quello raffigurato, tra i tanti, da Tomaso Montanari e da Travaglio. Si tratta di un ben noto fenomeno di psicologia della folla: quando l’individuo sa di far parte di una massa compatta e tale da apparirgli forte, quasi invincibile, tende a essere conforme al credo comune e a non mettere in discussione non solo le opinioni degli altri, ma soprattutto il loro “sentire”. E l’individuo nella massa si oppone fermamente a chiunque metta in discussione i suoi convincimenti, il modo di pensare, la mentalità corrente. L’adesione a Berlusconi e al “berlusconismo” (da intendere in senso culturale) è stato un tipico fenomeno di massa, con i connotati appena descritti.
Per questi casi occorre un quadro di riferimento teorico particolare. La psicologia di massa, una volta depurata dalle sue originarie inclinazioni politiche di destra, spesso darwiniane e razziste, può aiutare a comprendere come è possibile controllare e manipolare le masse. Nel caso di «Psicologia delle folle» di Gustave Le Bon, Freud rispose un secolo fa con «Psicologia delle masse e analisi dell’Io». Il punto che ne emerge è la collocazione dell’individuo nella massa: egli si sente tranquillo e protetto, tanto da riversare, come detto, tutta la sua intolleranza contro coloro che violano le credenze comuni e la figura del leader in cui credono ciecamente. È un mondo orwelliano che nel Novecento abbiamo già conosciuto, purtroppo. E se è vero che oggi in Italia non siamo in un regime dittatoriale, l’atteggiamento isterico delle folle berlusconiane tre mesi fa, per esempio in piazza Duomo durante il funerale, dà comunque da pensare. Come l’accusa di sciacallaggio lanciata a coloro che ripetevano le loro critiche a Berlusconi poco tempo dopo il suo decesso.
Il compito principale delle forze politiche a cui sta a cuore un funzionamento corretto delle istituzioni repubblicane dovrebbe essere quello di risolvere il problema del consenso in un’Italia “berlusconizzata” che rimpiange l’immagine (falsa) del “padre” perduto: il Conducător vittorioso di tante battaglie, il più grande fra i Grandi della Terra, l’ispiratore di sogni proibiti, sognatore egli stesso. Che fare? Al momento è possibile soltanto ipotizzare le finalità generali di un’azione politica che ponga riparo a una simile situazione. Un rimedio generico sarebbe quello di rafforzare il senso di responsabilità degli individui, fondamentale in democrazia, e la coscienza della loro personalità, facendo comprendere qual è il loro vero interesse personale e quali scelte permettono l’autoconservazione (escludendo, come prima cosa, l’identificazione con il Capo). Ma è un processo lento e non lineare. Nel caso specifico di Silvio Berlusconi, il compito primario è quello di capire perché al di fuori dell’esigua base elettorale di Forza Italia ci sono stati e ci sono tanti italiani che hanno creduto in lui (e magari non votano a destra, o non votano affatto). In secondo luogo, si dovrebbe attenuare la critica politica al suo operato, per non innescare sentimenti di rigetto, riconoscendogli i meriti, pochi in realtà, che ha realmente avuto. Per esempio, non ha mai calcato la mano con una politica nettamente antipopolare, anche quando avrebbe potuto; certo, non voleva perdere consensi, ma intanto obiettivamente evitava di penalizzare i più deboli. Ma soprattutto si dovrebbe lottare contro quegli pseudo-valori che hanno ammaliato gli italiani negli ultimi trent’anni. A questo riguardo, bisognerebbe dimostrare a poco a poco che denaro, competizione, fama, successo, celebrità, sensazionalismo nell’informazione e illegalità diffusa (per esempio, evadendo il fisco) non garantiscono nulla di sicuro in termini di autoconservazione e di salvaguardia degli interessi particolari e dell’interesse generale. Ma accanto a quest’opera di rifondazione etica, non proprio semplice, occorrerebbe restituire ai cittadini i loro sogni, la fiducia, la speranza di un progetto politico che proponga misure concrete e al tempo stesso un modello di società ideale, forse anche utopico.
Ma due ostacoli rendono ardua l’attuazione di un piano del genere. Il primo è l’inadatto livello culturale ed etico dei nostri politici (le eccezioni ci sono, ma sono poche), che si aggrava tenendo presenti quelli come Grillo e Renzi, populisti “figli” di Berlusconi. Il secondo è dato dalle accelerazioni della Storia, che possono far esplodere le contraddizioni insite nel sistema e in un mercato fin troppo libero. Il riferimento è al mondo globalizzato, a un’Unione Europea che vuole ripristinare l’austerità, alla mancanza di una vera politica migratoria e così via. Ricordiamoci il momento in cui il mondo berlusconiano è stato quasi travolto, dodici anni fa: lo spread, la minaccia della bancarotta e le dimissioni di Berlusconi il 12 dicembre 2011. La fiducia nei confronti del Cavaliere, responsabile del disastro, vacillò fortemente, mentre aveva termine il suo quarto e ultimo governo e iniziava un allontanamento dal potere politico che ai commentatori più miopi sembrava definitivo. Facendo i debiti scongiuri, un evento del genere, possibile soprattutto in ambito economico e finanziario, potrebbe verificarsi di nuovo, a scapito dell’attuale governo di centro-destra e soprattutto degli italiani. E non sappiamo se preluderebbe anche stavolta a un esiziale governo di tecnici (oppure direttamente della troika europea?). Tornando al 2011, oggi sappiamo che il declino politico di Berlusconi era solo parziale. Non era affatto terminata la manipolazione delle coscienze, e il cambiamento antropologico degli italiani era ancora in corso. Ragion per cui anche dopo la sua morte il suo modo di pensare, di agire, il nuovo conformismo provinciale da lui “creato”, sono idoli da abbattere, illusioni e miti da demistificare. Un lavorio pacifico e silenzioso per tornare a progredire sulla via della civiltà, per tornare a essere un’officina di idee e di desideri.

SITOGRAFIA

https://www.internazionale.it/essenziale/notizie/alessandro-calvi/2023/06/12/berlusconi-morto-italia

https://www.doppiozero.com/berlusconi-limmagine-e-la-morte

https://www.cambridge.org/core/journals/modern-italy/article/abs/silvio-berlusconi-and-the-myth-of-the-creative-entrepreneur/BD254DE52BB3841E0DECFD1342AF0455

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