Commento a «Perché Proietti era il simbolo de Roma» di M.V. (di V. Panicara).

A volte un testo si commenta da solo, per cui basta riassumerlo. Vale per «Perché Proietti era il simbolo de Roma» (La Verità, 5 novembre 2020) di Marcello Veneziani, scrittore e giornalista ritenuto un intellettuale della destra italiana.

Riassunto

Gigi Proietti era «er core de Roma», il suo settimo re. Segue l’elenco degli altri re, tutti attori, più i re collaterali e gli aspiranti sovrani. Sempre attori, per lo più comici.

Er core de Roma è rappresentato da un comico, uomo di teatro e cabaret, gag e barzellette.

In confronto alle altre capitali mondiali e alle altre grandi città italiane, Roma fa una figura meschina. Per rappresentare lo spirito delle altre città si può far riferimento a uno statista, uno scrittore, un personaggio storico. Oppure a un grande imprenditore, politico, artista, leader (la Sicilia può scegliere uno dei suoi grandi scrittori, o il Mafioso; perfino Napoli se la cava meglio, magari con Eduardo o con Luciano De Crescenzo). Roma no, nonostante la sua grande storia:

a Roma l’essenza della città è racchiusa ner core, senza business.

Se si pensa agli scrittori romani si deve ricorrere a Belli, Trilussa e Pasquino:

genere satirico, grottesco, dove la denuncia sconfina nello sberleffo; non si pensa a scrittori, poeti, filosofi, artisti.

Le manchevolezze della Capitale non si fermano qui: la città non ha mai dato all’Italia un capo, un Presidente della Repubblica, o un sovrano (nemmeno durante il fascismo!). Durante la Repubblica ci fu

Giulio Andreotti, perché fu la versione cinica, ironica e curiale dell’albertosordismo.

Giulio Andreotti

Roma non ha neppure un grande teatro, però ha Cinecittà…

Ecco perché al nord i romani vengono spesso denigrati e disprezzati a causa

della proverbiale indolenza e del loro menefreghismo irridente, la riduzione di SPQR all’acronimo ingiurioso di Sono Pagliacci Questi Romani. [o Porci?]

Veniamo ai motivi di tutto ciò.

A Roma non ci sono la serietà e il rigore, si oscilla tra il sacro e il comico, la santità e lo sberleffo. È in pausa pranzo dopo tanta storia ed eternità.

Qui è l’essenza profonda dei romuncoli, discendenti degli antichi Romani. Da qui

quello spirito cinico e beffardo, quel nichilismo pratico e sarcastico, quella visione disincantata e derisoria della vita, quel farsi scivolare tutto – impegni, compiti, lavori – che viene riassunto nella formula: Ma che me frega, nun me po’ fregà de meno.

Veneziani insiste con molti esempi del fatalismo scurrile dei romani di oggi, che non rinunciano a un residuo di orgoglio e sbruffoneria. derivato da una stinta e greve memoria del passato. Non manca il distanziamento ironico del ma che ce frega.

Proietti o Sordi sono l’emblema della città:

Il romano non vuol suscitare stima ma simpatia. Facce ride.

Gigi Proietti

Per i masochisti che vogliono leggere l’articolo per intero: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/perche-proietti-era-il-simbolo-de-roma/

Foto Ufficio Stampa Quirinale/Paolo Giandotti/LaPresse07-07-2017 Roma – ItaliaPoliticaMattarella con Gigi Proietti alla rappresentazione di Edmund Kean al Globe Theatre

Commento.

Non sarebbe difficile rispondere punto per punto alle considerazioni infarcite di pregiudizi e di superficialità dell’autore, abituato a provocare i suoi lettori.

Ma non ne vale la pena, anche se potrebbe farlo lo stesso lettore.

Da buon romano (no: “romuncolo”), non posso che rassicurarmi: uno che si aspettava la vittoria di Trump Macigno alle elezioni presidenziali non può essere preso troppo sul serio.

3 pensieri riguardo “Commento a «Perché Proietti era il simbolo de Roma» di M.V. (di V. Panicara).”

  1. È vero che “Roma si ama”, ma per scrivere su questa città e sui suoi “Re” bisogna soprattutto conoscerla. Aggiungo che la conoscenza (cultura?) dovrebbe essere la prima caratteristica di chi fa informazione. Marcello Veneziani nel suo articolo («Perché Proietti era il simbolo de Roma» – La Verità, 5 novembre 2020) mostra di non avere nulla di tutto questo: poche citazioni scontate, un richiamo generico all’antica grandezza di Roma (reminiscenze del sussidiario scolastico?), poi tanti luoghi comuni, estratti da barzellette e cine-panettoni. Per me che sono romana e che, da archeologa, ho studiato Roma profondamente, le parole di Veneziani rimbalzano stonate e superficiali. Sì, “rimbalzano”. O, come si dice a Roma, “me rimbarzano”, meravigliosa espressione che spiega – con una sintesi perfetta tra ironia, disapprovazione e disinteresse – ciò che si dovrebbe chiarire con tante parole. E sprecare tante parole su Veneziani, credetemi, non ne vale proprio la pena.

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  2. Cara Cristina, hai pienamente ragione, non serve indignarsi o rispondere a tono (perché abbassarsi a certi livelli?). Il mio commento, l’avrai notato, era piuttosto stringato.
    Il mio articolo aveva un intento nascosto, forse un po’ malizioso, quello di mostrare quali sono i comportamenti di certa stampa (Belpietro & Company) anche quando il tema non è prettamente politico. Si preferisce la provocazione al dialogo, la superficialità (voluta!) all’approfondimento, insomma il raggiro del lettore/elettore al vero giornalismo. Questo accade regolarmente, ma se avessi scelto un articolo politico, per esempio sulle elezioni americane, non avrei ottenuto lo stesso effetto (se l’ho ottenuto, non so, lo spero); il lettore occasionale si sarebbe messo in guardia e forse non avrebbe colto la malafede sottesa al testo.
    Grazie del tuo intervento!

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