LA RAGION DI STATO, DA MACHIAVELLI A… THE DONALD (idee sparse di Vittorio Panicara)

Un recente assassinio politico (il generale iraniano Soleimani, 3 gennaio 2020 a Bagdad) commesso dagli Stati Uniti è stato giustificato da Trump (Soleimani stava preparando attentati anti-americani) con motivazioni che richiamano da vicino la famigerata “ragion di Stato”, quando cioè una scelta politica, di governo, viola palesemente il diritto internazionale pubblico e i principi comunemente accettati della morale, in vista del bene dello Stato.

Un fatto analogo era avvenuto sotto la presidenza Obama, quando ad essere giustiziato era stato Osama Bin Laden, nel 2011 in Pakistan. Tra gli altri, anche l’israeliano Mossad avrebbe commissionato omicidi all’estero di alcuni esponenti della resistenza palestinese. La morte in terra straniera di vari oppositori politici di Putin è anche considerata sospetta. Storicamente famoso, nel 1804, è il rapimento a Baden del duca di Enghien, ordinato da Napoleone, che violò apertamente la sovranità di uno Stato vicino (il duca venne poi giudicato e giustiziato in Francia). Anche altre pratiche, come l’invasione militare di un altro paese senza dichiarazione di guerra, rientrano nella logica della ragion di Stato, ma a patto che tali comportamenti vengano giustificati con   l’utilità per la nazione governata. Insomma, non si può negare l’attualità dei problemi inerenti alla ratio status (o Staatsräson).

Niccolò Machiavelli

Molti fanno risalire la ragion di Stato alle spregiudicate idee, tra utopia e “verità effettuale”, di Machiavelli, da Croce considerato il creatore di una scienza della politica separata dalla morale (si pensi ai capitoli centrali del «Principe»). Nelle azioni consigliate da Machiavelli, comunque, anche in quelle immorali (compiere atti violenti volti a incutere timore, mentire, non tenere fede alla parola data ecc.), e nonostante la politica sia essenzialmente “arte”, c’è sempre una razionalità intrinseca finalizzata al bene dello Stato e non all’egoismo di chi governa. E su questo converrà tornare più tardi. In realtà nella sua opera non si trovano definizioni vere e proprie della ragion di Stato, come avverrà invece più tardi nella pubblicistica dedicata al tema.

della-ragion-stato-libri-dieci-libri-delle-cause-e02ae5b0-adfd-4281-b682-659531bd953e Giovanni Botero darà nel 1596 una definizione precisa della ragion di Stato:

Stato è un dominio fermo sopra i Popoli e Ragione di Stato è notizia di mezzi atti a fondare, conservare, e ampliare un Dominio così fatto.

Su “dominio fermo” si discuterà più tardi, quando l’assolutismo, anche quello illuminato, verrà messo in discussione. Botero sottolinea anche la preminenza della conservazione dello Stato (oggi parleremmo di sicurezza) sugli altri fini:

Egli è vero, che se bene, assolutamente parlando, ella si stende alle tre parti sudette, nondimeno pare, che più strettamente abbracci la conservazione, che l’altre; e dell’altre più l’ampliazione, che la fondazione.

Ad ogni modo, il machiavellismo verrà osteggiato dagli autori e ovviamente dalle autorità civili ed ecclesiastiche, anche se ormai tutti riconosceranno che la politica, per “legge naturale”, segue la regola dell’utile e non le categorie della morale.

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Non manca una certa doppiezza quando il filosofo è anche un sovrano. Federico II di Prussia, detto il Grande (esaltato più tardi dal nazismo, insieme con Ottone di Bismarck), decide di invadere la Slesia nel 1740 senza formale dichiarazione di guerra per strapparla alla giovanissima Maria Teresa; più tardi, però, scrive l’«Anti-Machiavelli»… Il seguente messaggio epistolare, mandato nel 1761 a Guglielmo Pitt, esplicita questa contraddizione:

Da due princìpi mi lascio guidare. Uno è l’onore, l’altro l’interesse dello Stato, che Dio ha affidato alla mia guida. Con queste massime, signore, non si cede mai ai propri nemici.

Gli episodi che mostrano in pieno Ottocento e Novecento il ricorso alla ragion di Stato, mediante  l’inganno (uno tra tutti: Bismarck falsifica il telegramma di Ems all’imperatore Guglielmo per scatenare la guerra franco-prussiana), o alla violenza più o meno giustificabile (scelta molto ampia, il XX secolo è l’età dei totalitarismi e di due guerre mondiali; un solo esempio: l’assassinio di Trockij in Messico nel 1940, ordinato da Stalin), sono troppi per essere ricordati e sono noti al lettore comune.

Cinquant’anni dopo la pubblicazione nel 1924 di «L’idea della ragion di Stato nella storia moderna» dello storico tedesco Friedrich Meinecke, un convegno di studi a Tubinga reimpostò il problema su altre basi, abbandonando l’”idea” di ragion di Stato e definendo meglio le competenze concrete dello Stato, come l’utilizzo normale del segreto di Stato e della deroga alle leggi, o approfondendo il concetto di sovranità (Foucault). Anche l’esercizio specifico dei dispositivi giuridici creati dai governi venne analizzato nell’ambito di un esame del potere statuale che superava ampiamente l’ottica di Machiavelli e la dicotomia idealistica di Meinecke di etos e kratos. Friedrich_Meinecke.jpg

Inoltre, al problema della priorità stabilita da Botero alla conservazione dello Stato tra gli scopi ad esso assegnati, nel 1994 Norberto Bobbio opponeva un’importante eccezione, così scrivendo a Gianfranco Borrelli in occasione di una mostra napoletana sul tema:

Ho qualche dubbio sul nesso che lei istituisce tra “ragion di stato” e lo scopo della “conservazione”. La ragion di stato ha a che fare coi mezzi, quale che sia il fine.

In questo modo, era possibile connettere il vecchio dibattito sulla ragion di Stato all’esistenza reale delle democrazie, che nella loro azione concreta sembrano a volte mettere in discussione i loro stessi fondamenti.

Oggi, più in particolare, si parla di governamentalizzazione dello Stato moderno, inteso come complesso dei dispositivi politico-diplomatico-militari e delle tecniche di razionalizzazione economica e amministrativa della popolazione. Il problema odierno è quello di evitare che l’attività dello Stato invalidi i fondamenti universalistici delle norme civili e la stessa legittimazione dell’autorità pubblico-statuale.

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L’attuale realtà politica globalizzata è lontana anni luce dal contesto storico che suggerì a Machiavelli la precettistica del «Principe».  Ma a ben vedere le sue proposte, molto precise, “naturalistiche”, riguardano in modo specifico, come detto, la razionalità della politica, non solo l’”utile” contrapposto al “bene”. Nelle pagine del «Principe» non esiste un solo precetto che non sia giustificato e spiegato. Oggi l’attualità, al contrario, ci mostra scelte politiche dettate dall’impulso, poco logiche, talora gratuite e rispondenti solo all’esigenza del momento. Spesso non si riesce a vedere una strategia precisa che sia indirizzata razionalmente al raggiungimento di scopi e obiettivi “utili” per i popoli interessati. Discorso diverso vale per la finanza internazionale, che sa bene ciò che fa, mentre i processi decisionali della politica, soprattutto quando al potere vanno i cosiddetti sovranisti, con la loro retorica zoppicante e cialtrona, di razionalità ne mostrano ben poca (Trump è l’esempio più evidente, ma anche Putin ed Erdogan, nonostante le apparenze, devono parzialmente affidarsi al caso).

Al momento presente la sfida principale pare quella di ridare centralità alla politica, rendendola trasparente, e di restituire rappresentanza alle democrazie. Il conflitto tra morale e politica e il problema della ragion di Stato sembrano questioni lontane, di lusso, di un passato forse meno distopico rispetto al presente.

 

Fonti:

 

 

 

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