Il populismo del Movimento 5 Stelle in Italia è un fenomeno esemplare e al tempo stesso, secondo l’opinione di molti, pieno di contraddizioni. Tra le promesse della campagna elettorale e la concreta loro attuazione sembra esserci un abisso, e non bisogna dimenticare le posizioni prese nel 2013, anno del primo grande successo elettorale. Insomma, è come chiedere se la gestione di Di Maio sia coerente con le premesse ideali del suo movimento.
Per avere delle risposte è opportuno esaminare uno dei testi-base del movimento: «Il grillo canta sempre al tramonto» (2013, prima delle elezioni politiche) di Dario Fo, Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo. L’intento è quello di scoprire nel contenuto dei dialoghi una tendenza politica più o meno nascosta sull’asse destra-sinistra e di vagliare l’esistenza delle caratteristiche del discorso populista. L’attuale governo, infatti, è decisamente orientato a destra in senso populista. Le caratteristiche del populismo (leaderismo carismatico in rappresentanza esclusiva del “popolo”, lotta alle élite, antipluralismo e autoritarismo, “novità” delle proposte, dei metodi e del linguaggio) sembrano abbastanza presenti nell’operato del governo Conte.
Due anni prima Grillo e Casaleggio avevano pubblicato «Siamo in guerra. Per una nuova politica», spiegando in cosa consisteva la rivoluzione del movimento nato dalla rete senza alcun finanziamento pubblico. L’opposizione del vecchio mondo, soprattutto mediante i mass-media, sarebbe stata tenace e aggressiva come una guerra. Il testo, dal sapore un po’ propagandistico, raccoglieva in modo sparso molti contenuti del blog di Grillo e non aveva una struttura veramente chiara. Due anni dopo «Il grillo canta sempre al tramonto» illustra in modo più ordinato le finalità del M5S, ricalcando un testo classico, «La nave ovvero i desideri» di Luciano di Samosata, II sec. D.C. (lo spiega Dario Fo nel Prologo). I tre autori/personaggi camminano dal Pireo ad Atene e parlano tra di loro; il testo è la trascrizione di una chiacchierata fra amici sui temi più disparati.
La rete è la novità, il nuovo pensiero, la via che permette all’uomo moderno di proiettare la mente fuori dagli schemi accettati da tutti, così come hanno fatto in passato grandi geni come Eratostene, Leonardo e Galileo. Il web consente la creazione di una comunità nuova che non ha bisogno di “leader”, una parola che appartiene al passato; movimenti spontanei come Occupy non hanno avuto bisogno di capi: la parola giusta per loro è leaderless. È facile a questo punto notare come venga meno in questo modo uno dei presupposti del populismo, il leaderismo, ma è da dire che la figura di Grillo, sia nel blog che nei comizi e in altre forme di comunicazione, è sempre stata percepita come quella di un capo carismatico del movimento. Il fatto che lui non abbia e non voglia incarichi dirigenti, lasciando la direzione del movimento ad altri, non cambia molto la sostanza del problema. Le sue prese di posizione sono ascoltate da tutti e sono risolutive nei momenti cruciali.
Nel libro il tema della forma da dare alla comunicazione – non solo nel web – è centrale. Per Grillo e i suoi amici, è tutto il linguaggio politico che va rinnovato, anzi corrotto secondo una prospettiva grottesca e sarcastica, per analizzare e smascherare meglio il potere (qui il riferimento al blog di Grillo è trasparente e in qualche modo si cerca di giustificare i ben noti eccessi verbali dei “Vaffa” e, peggio, degli insulti personali). In questo caso il requisito del linguaggio pop non è solo presente, ma viene persino teorizzato.
L’antica Grecia sembra essere il punto di riferimento anche per il concetto di democrazia, quando Casaleggio cita il Discorso agli Ateniesi di Pericle, riportato per intero alla fine del libro (con il titolo «Qui ad Atene noi facciamo così»): è la democrazia diretta di una volontà popolare – con un governo che favorisce i molti invece dei pochi – che oggi può esprimersi liberamente nella rete e può eleggere i propri rappresentanti nel M5S (le parlamentarie). In altre parti del testo non pare che si adombri l’istanza di una democrazia illiberale, anzi. Lo Stato di diritto viene visto come un valore fondante e, in ogni caso, non si notano a questo riguardo prese di posizione autoritarie. La libertà, con il ricordo di Ipazia, occupa il primo posto in una scala ideale di valori. Grillo sente anche l’esigenza di giustificare il fatto di aver privato del simbolo i politici M5S venuti meno alle regole del movimento, negando che siano state delle vere e proprie espulsioni (ma in questo caso è lecito avere dei dubbi…).
Neppure di destra sono le considerazioni fatte (ma qui è soprattutto Dario Fo a prendere posizione) riguardo ai problemi delle carceri da svuotare e degli immigrati, questione delicata, in merito alla quale non mancano le critiche alla propaganda xenofoba e razzista della Lega Nord e alla legge Bossi-Fini. Gli immigrati regolari, secondo le parole di Dario Fo, sono visti come una risorsa economica e demografica. Beppe Grillo aggiunge che i rifugiati dovrebbero essere garantiti nei loro diritti fondamentali e si lamenta che questo non avviene; a questo proposito critica l’UE: L’Europa dovrebbe partecipare a questo processo, invece lo ignora! Dal canto suo Dario Fo deplora lo stato in cui versano i centri di identificazione ed espulsione, citando il caso di Lampedusa e riportando la lettera della sindaca Giusi Nicolini del 16 novembre 2012.
La scelta destra-sinistra è tematizzata in un capitolo intitolato significativamente «La democrazia diretta». Il discorso prende le mosse dalla constatazione della crisi dei partiti tradizionali e del sistema della rappresentanza politica. I rimedi proposti dal M5S sono la trasparenza, l’informazione e il collegamento con i cittadini (ovviamente grazie alla rete), pena l’insostenibilità della crisi sociale e la vittoria delle destre xenofobe. Per Casaleggio sono importanti la collaborazione tra le forze politiche e la bontà delle idee:
Sì, perché quando un’idea funziona tutti sono nella condizione di appoggiarla, anche esponenti di altri partiti. Alla fine migliora la politica (Beppe Grillo).
Il paragrafo successivo si intitola «Un’idea è buona o cattiva, non di destra o sinistra». È il noto principio della trasversalità, che implica il rifiuto del M5S di essere classificato di destra o di sinistra (un po’ come le dichiarazioni di Umberto Bossi all’inizio del successo della Lega Nord, poi si è visto com’è andata…). La citazione, però, non è chiara e la sua ambiguità potrebbe nascondere soltanto il qualunquismo. In fondo potrebbe trattarsi di qualcosa di più banale e meno pericoloso: la libertà di pensare non sopporta preconcetti politici e una buona idea fa breccia sempre e comunque.
Sui problemi ambientali i tre interlocutori concentrano la loro attenzione sul binomio energia-produzione. La seguente citazione esprime sinteticamente la posizione di Beppe Grillo:
L’energia rispecchia un mutamento di civiltà. Non di politica. Non serve soltanto produrre con energie rinnovabili. Bisogna anche produrre di meno. Meno materia, meno energia, meno cose, … (…) per arrivare in vent’anni a sostituire con le rinnovabili tutta l’energia prodotta col petrolio, quindi tassando i consumi, i consumi di cazzate.
Il riciclaggio è solo un momento del passaggio da una forma all’altra di civiltà. Si tratta di una lotta ecologista planetaria. Interviene nella discussione anche Casaleggio, che incolpa il “supercapitalismo” di voler trarre profitto da qualsiasi novità che voglia proteggere l’ambiente utilizzando nuove forme di energia. E aggiunge in un altro capitolo («Il virus del denaro e la febbre dell’accumulo»):
L’accumulo di denaro non va d’accordo con la democrazia. Chi concentra molto denaro può influenzare la società, piegare la politica e quindi la gestione della cosa pubblica ai suoi interessi.
Citando Malthus e Darwin, cattivi maestri, Grillo contesta poi la legge del più forte difendendo il principio di solidarietà. Come si vede, il rapporto tra economia e politica non è visto con gli occhiali di una società chiusa ed esclusiva. Il lavoro, inoltre, non deve prendere il sopravvento sulla vita e non può essere il valore supremo. Se il lavoro manca, lo Stato aiuterà il cittadino con il reddito di cittadinanza (al quale è dedicato solo un rapido cenno!).
La discussione si sposta sul rapporto tra «intelligenza collettiva» – una conoscenza che sia veramente condivisa all’interno di una comunità – e individuo, del quale occorre sempre riconoscere il valore e che deve sempre arricchire la comunità producendo insieme agli altri cittadini «atti di intelligenza superiore». È questa la soluzione del problema. Dall’ambientalismo gli interventi dei tre autori sono passati infatti di nuovo all’esaltazione della rete, la sola che permetta questa interazione individuo-comunità, ma a patto che chi interviene nella comunicazione sia credibile. Inutile dire che il web rappresenta il terreno comune di molte posizioni del M5S (cyberpopulismo?).
I riferimenti alla situazione italiana del momento sono molti, ma oggi risultano datati, mentre le dichiarazioni di principio sono più significative. Il testo nel complesso divaga spesso e non ha un filo conduttore che possa aiutarci a organizzare il discorso del M5S in modo unitario e organico; probabilmente ciò accade perché un “sistema” di pensiero non esiste e valgono semmai le varie tesi sparse qua e là, le critiche e le proposte, presentate in modo un po’ rapsodico. Nel complesso, comunque, non si può parlare di un libro di destra, anche perché non mancano le idee progressiste.
Qualche conclusione e i diritti dell’attualità…
Alcuni tratti del populismo sembrano essere presenti, ma le ambiguità non mancano:
- la personalizzazione c’è, ma il leaderismo è ripudiato;
- il “popolo della rete” è il referente principale, ma ciò dipende più dall’ingenua esaltazione della rete che dall’eventuale pretesa di rappresentare un “popolo” generico;
- le accuse moralistiche al sistema (tendenza anti-sistema e all’anti-politica) non mancano, ma le argomentazioni sono sempre ben fondate e non risentono dell’emotività che, al contrario, segna gli spettacoli di Grillo;
- la difesa dei principi di solidarietà, inclusione e partecipazione non permette, infine, di parlare di antipluralismo ed esclusività, anche se all’interno del movimento la disciplina è rigida e Grillo sorveglia personalmente l’ortodossia dei partecipanti (come ha dimostrato ampiamente la cronaca di questi anni).
In sintesi, il M5S , se è populista, lo è sui generis. È vero, il M5S si dichiara estraneo alla distinzione sinistra-destra, ma, come detto, in «Il Grillo canta sempre al tramonto» non ci sono prese di posizione di tipo nazionalistico o anti-democratico. Insomma, il M5S non mostra qui nessun segno del populismo di destra.
La cronaca politica di questi ultimi cinque anni, culminata con la clamorosa vittoria elettorale del M5S del 2018 e il governo giallo-verde, ha aggiunto nuovi tasselli al “mosaico” di idee delineato nel libro. Molte prese di posizione probabilmente opportunistiche (per esempio sui migranti) e la stessa pratica del movimento – dal criticato sistema di reclutamento del personale politico alla repressione del dissenso interno – hanno contraddetto l’impianto progressista già esaminato e hanno reso ancora più confuse e ambigue le scelte del movimento. L’alleanza con la Lega di Salvini ha accelerato un moto di cambiamento che favorisce istanze illiberali fondamentalmente assenti nel libro; ambientalismo e spirito libertario sembrano sotterrati. Il comportamento oscillante tra la rissa e il compromesso con l’UE e l’incertezza teorica sull’integrazione europea confermano l’assenza di un sistema di idee completo e coerente, di una vera “filosofia politica“, insomma di un modello di società e Stato nuovi. Il punto è questo. Se il qualunquismo si afferma, degenerazioni come la chiusura identitaria e l’autoritarismo nella gestione del potere sono a portata di mano, difficilmente evitabili se l’alleato è matteo Salvini. Il trasversalismo, in conclusione, è una ricetta che produce soprattutto demagogia qualunquista (o ne è il risultato?), e il movimento diviene così massa di manovra per la destra sovranista (nazionalista).